PERCHE' AMO LA NEBBIA CHE CI PROTEGGE DAL MONDO
Fonte: Repubblica — 25 novembre 2009 pagina 159 sezione: PRIMA PAGINA
Bisogna pagare tutti i debiti, almeno per quello che mi riguarda. Che io avessi non dico interessi per la nebbia ma un culto della nebbia era segno del destino, essendo nato ad Alessandria, città al cui paragone Londra è un' isola dei mari del sud. Mi è capitato pertanto di scrivere ogni tanto della nebbia (a iniziare da una orribile poesia scritta all' età di sedici anni) e, non appena ho iniziato a scrivere romanzi, un po' di nebbia ne ho messa ogni volta che ho potuto. Molta ne avevo messa in Baudolino ed è dopo la pubblicazione di questo romanzo che il mio editore tedesco, Michael Krüger, che tra l' altro è anche fine poeta, mi ha scritto chiedendomi un libro sulla nebbia. Si sa come sono certi inviti: anche a rifiutarli, poi ti rimane un verme nel cervello e ci pensi di notte. Così, quasi per gioco, mi sono messo a sfogliare tra i miei scaffali i libri in cui ricordavo apparisse la nebbia (cosa viene in mente di primo acchito? la nebbia agli irti colli, è ovvio) e infine, vivendo in epoca di Internet, mi sono messo a navigare cercando tutte quelle parole, in tutte le lingue, che Remo Ceserani elenca a inizio del suo saggio. Ero riuscito a mettere insieme qualcosa come cento pagine di testi, alcuni ovvi, altri più improbabili come il Fumifugium di John Evelyn, 1661, che in effetti più che sulla nebbia era sullo smog che già iniziava a impestare Londra a quei tempi - ma in fondo sull' argomento sarebbe poi stato più convincente Dickens. Non ricordo se per influenza di quel materiale o per semplice coincidenza, in quel periodo mi era venuto in mente di scrivere La misteriosa fiamma della regina Loana, un brano del quale i co-curatori di questa antologia hanno avuto la cortesia di includere tra i vari testi proposti. Siccome era un libro che rievocava una infanzia piemontese, la nebbia non poteva non entrarci, e ci è entrata tutta, nel senso che ho saccheggiato la mia antologia, permettendo al protagonista smemorato di ritrovare appunto una raccolta del genere che egli aveva messo nel computer, così che egli potesse fantasmare della nebbia in lunghi brani in corsivo (tanto per mettere in chiaro che non erano miei bensì citazioni)... Ma insomma, non sono qui a parlare del mio romanzo. Il fatto è che a quel punto avendo sfruttato l' antologia per quanto potevo, non vedevo più alcuna ragione di dedicarvi altro tempo quando (altra mirabile coincidenza) ho scoperto che Remo Ceserani stava scrivendo la voce "nebbia" per il Dizionario dei Temi Letterari. Ho visto dai suoi riferimenti che lui aveva individuato testimonianze che a me erano sfuggite, e di lì è nata l' idea di proporgli questa antologia. Che poi, tranne quelle cento pagine raccolte da me, moltissime delle quali Ceserani aveva già trovato per conto proprio, l' antologia nel suo complesso sia opera di Ceserani e Ghelli, lo concedo con ric o n o s c e n t e e c c i t a z i o n e . Quanta bella nebbia! Credo si possano amare i mari del sud anche essendo nati in paesi freddi e brumosi, e forse proprio per reazione all' ambiente natale: Stevenson era nato a Edinburgo, Gauguin a Parigi, e via dicendo. Ma non si può amare la nebbia se non si è nati nella nebbia. Certo, si potrebbe percorrere tutta questa antologia e scovare qualche poeta della nebbia che a prima vista non dovrebbe essere nato nella nebbia, per esempio D' Annunzio, che riesce con pari abilità a descriverci ne Il fuoco le glorie di una Venezia incandescente di tramonti epifanici e nel Notturno i misteri di una Venezia brumosa; ma a Venezia il poeta c' era pur stato, aveva cantato «il grido delle vedette aeree arrochito dalla nebbia», e consultando Internet si possono trovare avvisi di bei banchi di nebbia sulla Roma-Teramo o sulla Torano-Pescara. Chi è nato nella nebbia conosce l' espressione spaurita e incredula di chi, cresciuto nei paesi dove fioriscono i limoni, ti sente dire che tu ami la nebbia, non solo gli irti collie lo sfumare grigiastro delle colline lontane ma persino - Dio ci perdoni - la nebbia sull' autostrada, nella quale noi, uomini della nebbia, si guida confidenti, alla velocità giusta, senza farci atterrire dalle ombre vaghe e giganti che sembrano sorgere all' improvviso là dove pochi istanti prima c' era una linea bianca. Sono nato, l' ho detto, in una città nebbiosa. Credo che se lo raccontassi oggi ai suoi giovanissimi abitanti non capirebbero che cosa dico. La luce uccide la nebbia, e ve ne accorgete sulle autostrade dove, appena si arriva in vicinanza di un autogrill con benzinaio, e gli ampi spiazzi antistanti sono illuminati, la nebbia non c' è più. Segno che, a spendere un po' più di soldi per l' illuminazione delle autostrade, non ci sarebbero più morti per nebbia non lo dico per noi che con quella faccia un po' così solo di rado abbiamo visto Genova, e per il resto ci siamo mossi tra le risaie del vercellese e le vigne langhigiane, ma per i poveri siciliani, napoletani, e persino laziali, che ne muoiono ogni anno, senza capire della nebbia la mutae algida bellezza. La luce uccide la nebbia e nelle città, dove rimangono ormai le vetrine illuminate anche di notte, e i lampioni sfolgorano, la nebbia si ritrae pudica. Percorro nostalgico Milano per ritrovare le nebbie non dico di Sereni ma dei gialli di De Angelis (vedi L' albergo delle tre rose: «Pioveva a fili lunghi, che al riverbero dei fanali parevan d' argento. La nebbia diffusa, fumosa, penetrava coi suoi aghi nel volto. Sui marciapiedi scorreva ondeggiando la infinita teoria degli ombrelli». Ahimé, il calore innaturale che uccide la nebbia è quello che scioglie anche i ghiacciai, e la terra morirà non solo per eccesso di calore ma anche per carenza di nebbia. L' avrete voluto voi, maledetti nemici delle brume. Speriamo ora nella crisi economica. Ma torniamo alla mia città. Non solo è (era) nebbiosa ma è fatta di grandi spazi vuoti e sonnolenti, insopportabili nel gran sole meridiano d' agosto, quando tutti si rintanano terrorizzati da quel vuoto arroventato. Però di colpo, in certe serate autunnali o invernali, quando la città è (era) sommersa dalla nebbia, i vuoti scompaiono, e dal grigiore lattiginoso, alla luce dei fanali, spigoli, angoli, subite facciate, scorci bui emergono dal nulla, in un gioco nuovo di forme appena accennate. E la mia città diventa "bella" (o almeno conturbante quanto la Fosca del nostro concittadino Tarchetti). Città fatta per essere vista tra il lusco e il brusco, andando rasente i muri. Non deve cercare la sua identità nel sole, ma nella caligine. Nella nebbia si cammina piano, bisogna conoscere i tracciati per non perdersi, ma si arriva sempre e lo stesso da qualche parte. La nebbia è buona e ripaga fedelmente chi la conoscee la ama. Camminare nella nebbia è più bello che camminare nella neve calpestandola con gli scarponi, perché la nebbia non ti conforta solo dal basso ma anche dall' alto, non la insudici, non la distruggi, ti scivola affettuosa d' intorno e si ricompone dopo il tuo passaggio, ti riempie i polmoni come un buon tabacco, ha un profumo forte e sano, ti accarezza le guance e si infila tra il bavero e il mento punzecchiandoti il collo, ti fa scorgere da lontano dei fantasmi che si dissolvono quando ti avvicini, o sorgere all' improvviso di fronte delle figure forse reali, che ti scansano e scompaiono nel nulla. Purtroppo ci vorrebbe sempre la guerra, e l' oscuramento, solo a quei tempi la nebbia dava il meglio di sé, ma non si può avere tutto e sempre. Nella nebbia sei al riparo del mondo esterno, a tu per tu con la tua interiorità. Nebulat ergo cogito. Per fortuna dalle mie parti quando non c' è nebbia, specie di primo mattino, "scarnebbia". Una specie di rugiada nebulosa che, anziché illuminare i prati, si leva a confondere cielo e terra, inumidendovi leggermente il viso. A differenza della nebbia, la visibilità è eccessiva, ma il paesaggio rimane sufficientemente monocromo, tutto si distribuisce su delicate sfumature di grigio e non offende l' occhio. Occorre (occorreva) andare fuori città e per strade provinciali, meglio per sentieri lungo un canale rettilineo, in bicicletta, senza sciarpa, con un giornale infilato sotto la giacca, a proteggere il petto. Ma divago. Non in tutti luoghi scarnebbia e questa antologia è dedicata a quelli in cui, per fortuna, nebulat. La nebbia è uterina. Ti protegge. Legioni di esseri umani desidererebbero tornare nell' utero (di chiunque, come diceva Woody Allen). La nebbia ti realizza questo sogno impossibile. Ti concede una felicità amniotica. Hai la sensazione che forse un giorno uscirai dalla vagina e dovrai affrontare il mondo, ma per il momento sei salvo. E siccome la nascita è l' inizio del percorso che ti porterà inesorabilmente alla morte, la nebbia è la garanzia (ahimé virtuale) che alla morte forse non perverrai. Basterebbe fermarsi lì. Ma proprio perché non sai dove sei, nella nebbia tendi a muoverti per uscirne (che è stolida follia e folle stolidità). Chi ha ventura di starci, vuole venirne fuori. Per questo tutti gli uomini sono mortali.
UMBERTO ECO