OVUNQUE FERITO
E’ già un soffio quel ringhio; e già un riflesso
di quel tonfo lucente rifrange sordo,
mutato negli anni, spoglio di inganni,
in un dolore tenue come quando i denti,
giù in fondo al palato, sono ancora di latte
e la pelle profuma di fragrante sudore,
ed il seme affiora mai veduto, inatteso,
nell’anno del primo dio;
non sai ciò che sembra crescere occulto,
ma avverrà che il “mai più”, forse, possa
chiamarlo “ancora”, dove trova ristoro
ogni spasimo, ogni assurdo rimorso,
giacché forse non è questo il perdono,
la sorte, il sogno espugnato, la disdetta,
il destino domato, l’insondabile pegno
del ricordo che in un cieco abisso tiene
la piccola furia di nuovo assopita. E allora?
E’ tutto qui, proprio davanti a te,
ma gli occhi non lo afferrano,
lo nasconde l’aria nuda, arsa come i frutti feriti
dal sole di luglio, che all’orizzonte affonda
la sua lama nel maglio dell’onda.
Puoi correre a gridare che non sarà mai più molto,
per te, e gioire come ogni uomo,
alla fine della sua attesa. Oppure credere
in silenzio che un altro ti vedrà e manterrà
il segreto che tu non oserai mai rinnegare.
Ovunque ferito. Non ascoltare altra voce.
Entra nel vuoto ad occhi chiusi,
come un’ombra lambita dal velo dell’alba,
le mani tese verso l’aria fresca del vento
che ghermisce polvere e oro.
Ovunque conduci la tua stella catturata,
il tuo nuovo occhio che vede oltre il sangue
e non teme che lo vinca l’oscura piaga,
che lo spenga paura, che lo trafigga, quindi,
in un ritorno del tempo che insegue un altro tempo,
il soffio non placato dell’insondabile notte.
AL VENTO DORATO
Se tu che per la prima volta mi
disvelasti l’animo mio e ciò che in me,
il mio sangue negato,
rivendicava al furtivo sogno,
tu che apristi le porte del mio oltre,
così che fosse tutto devastato di nuova luce,
come la crisalide che squarcia il guscio inerte
spalancando le ali al vento dorato,
se tu che eri per me inizio e fine,
acqua e fuoco, folgore ed ombra,
non hai più la tua voce,
e la tua aura inclini verso visi in forme vili
e fieramente ostili al tuo passato,
impudico splendore,
chi riconoscerà il mio passo,
da lontano, sotto la croce rosa di un sorriso,
timoroso di gloria, incancellabile,
tendendo alto l’arco del suo sguardo
verso un mio nuovo, sperduto ritorno?
FUORI DOMINIO
Nel mio silenzio attendo la risposta
che nessuna domanda ha mai invocato.
Io la udii quando niente distoglieva
il mio senso più tardo ed annebbiato,
quello che alla parola è assoggettato,
dal dominio del segno dell’idea.
E’ l’unica incertezza che mi resta:
è lei che prende me, per interposta
speranza che si schiuda la mia sola
risorsa di capire, già prima di sentire,
fino in fondo, l’offesa che consola.
O forse una carezza per ferire.
Francesco De Girolamo © (Inediti)
Biografia:
FRANCESCO DE GIROLAMO è nato a Taranto, ma vive da molti anni a Roma, dove, oltre che di poesia, si occupa di regia teatrale e di organizzazione di manifestazioni culturali. Ha pubblicato le raccolte poetiche: “Piccolo libro da guanciale” (Dalia Editrice, 1990), con introduzione di Gabriella Sobrino; “Bambocciate” (Edizioni del Leone, 1995); “La lingua degli angeli” (Edizioni del Leone, 1997), con una nota critica di Elio Pecora; “Nel nome dell’ombra” (Ibiskos Editrice, 1998), con prefazione di Gino Scartaghiande; “La radice e l’ala” (Edizioni del Leone, 2000), con introduzione di Elio Pecora; e “Fruscio d’assenza” (Gazebo, 2009). E’ presente nelle antologie: “Poesia dell’esilio” (Arlem Edizioni, 1998); “Poesia degli Anni Novanta” (Edizioni Scettro del Re, 2000) e “Haiku negli anni” (Empiria, 2005). Si sono occupate della sua opera, tra le altre, le riviste “Poesia”, “Folium”, “Tempi moderni”, e “Poiesis”. Suoi articoli letterari e recensioni sono stati pubblicati su “Le reti di Dedalus”, “Poiesis”, “La Mosca”, “Polimnia” e su diversi blog e siti specializzati di Poesia e Critica. Ha collaborato dal 1994 al 2000 con l’organizzazione di “Invito alla lettura” a Castel Sant’Angelo e nel 2006 con il “RomaPoesia – Festival della Parola”.