Ci si incammina assaporando il
profumo del mare. Oltre le spiagge, il sentore del sale sugli orti e le case.
Le sterne cantano attraversando con un volo radente il rollio delle onde e il
loro frastuono. Così incomincia il viaggio attraverso “Terracqua”, luogo
multiforme a cui il Poeta appartiene e di cui nutre la propria memoria. Vi sono
sposalizi avvenuti sulla schiuma di un onda e anemoni sui fondali marini a
raccontare un amore
(i
fiori per la sposa giacciono/ in fondo distese brulicanti di anemoni/fanno una
corolla nuziale),
l’avvicendarsi ciclico del
giorno e della notte sotto cieli neri e venti sopiti, il silenzio della natura
in un’isola di primigenia bellezza
(il vento tace sull’isola/ come un
presagio/l’alta marea tra i seni/ il nero stellato intorno/a fior d’acqua
lucciole ignare costeggiano/le coste).
E il ricordo che
brucia come lava di vulcano, lo stesso ricoperto di terra nera che aleggia
nell’aria greve. Con una scrittura intensa ed elegante, Mirella Crapanzano ci
conduce nel suo Eden personale, nel suo centro emozionale, nella sua radice di
acqua, fuoco e terra di Sicilia dove l’autrice nasce. Nella mente i suoni
liquidi del mare, le impalpabili luci dell’alba, i tramonti trafitti di rossi
accesi, le notti nere senza luna, le risacche che sempre tornano: così è il
mondo descritto dai versi armoniosi di questa autrice siciliana, nata ad
Agrigento; un mondo percorso a piedi scalzi e con la salsedine sulla pelle
(un colore ti segue nella pienezza/delle ore/reclama la presenza
di chi/cammina a piedi scalzi/e vede il mare/come qualcosa che gli somiglia),
in simbiosi con
l’ambiente isolano che ospita il Poeta nel suo percorso esistenziale e lo rende
colmo di un forte senso di appartenenza
(ho respirato a lungo sott’acqua/come un pesce/ una stella
marina/un’alga/ed ero felice).
E’ viscere e
cuore, echi d’Africa e fioriture di mandorli questa raccolta di poesie, un
vorticoso avvicendarsi di colori, profumi e immagini nitide, tanto da poterle
quasi toccare
(ero terra e nuvole a vista d’occhio/corrente ascensionale
d’acqua/una vertigine intagliata sulla pelle).
La casa accoglie
il verde dei prati e il rombo del mare: dalle sue finestre si vedono i ciliegi
in fiore scuotere l’aria di profumi e il mare quando “s’arriccia e imbianca”. E le stagioni scorrono negli occhi di
bambina e poi di donna, s’accendono le voci delle madri e dei padri, delle
tradizioni mai perdute
(ho colorato i frutti di martorana/cucinato i biscotti/i pupiddi
di zuccaru/ ca mi cercanu l’occhi/bacche mature speziate per la festa/nei
giorni dei morti/vedi/ci sono bancarelle/di calia/ simenza e ciuri)
della terra e del
suo grembo che porta l’amore e i suoi frutti
(in quel tempo mirabile/il punto dove si annidano i
colori/crescono gli aranci)
Scorrono i mesi,
le stagioni si avvicendano raccontando storie, eludendo i drammi dell’individuo
che sòlo talvolta langue nel sentirsi tale; e poi la perdita di chi si ama che
lascia “il vuoto sul divano” fino al
giungere della passione, e della sorpresa al tocco di una mano, del profumo del
desiderio (l’odore
è quello della spremitura/dopo la pioggia .)
Fuori da una
stanza in ombra (e
come sere/ le finestre/hanno il bianco dei gelsomini) il sole cocente e il profumo di zagare e gelsomini, dentro le
mura il dissolversi dei corpi; fino al tempo in cui scende la neve, che con la
sua fragilità è metafora della vita e della sua inconsistente ma luminosa meraviglia.
Finito il viaggio si ricomincia dall’acqua, e poi la terra, e il fuoco, e
ancora il mare, in un moto circolare di eterno ritorno; perché gli elementi e
le anime si appartengono, costituiscono uno spazio segreto tra ciò che è chiaro
e ciò che è oscuro, tra cultura e natura, tra spirito e corpo, tra Dio e gli
Uomini.
il senso che il divino oscilla
tra campi di stelle e umani
dagli occhi trasparenti all’invisibile
Federica Galetto