Una poetica interessante e ricca di spunti lessicali inusuali e ricercati. I significati s'appoggiano ad una sensibilità acuta e penetrante che rende ogni verso un'esperienza unica nella comprensione di un intimo sentire affilato e determinante. Vede ogni cosa nel suo più nudo essere Carano, spoglia senza alcuna remora le possibilità e ne fa concetto vivo e palpitante, come se ogni sua percezione fosse anch'essa carne e sangue, ininterrottamente domandandosi e scoprendosi in orizzonti lontani o nascosti; la menzogna è culla di amori resistenti, incrollabili nel doppio risvolto del dolore e gli affanni rappresentano forche da attraversare con spada e scudo, all'ombra d'una tenerezza mai sopita che aleggia, e dispone ancora del suo potere, nelle parole pronunciate, nel corpo, nel tentativo d'una salvifica catarsi. Un autore raffinato, una lettura da centellinare e gustare. Per palati esigenti.
Federica Galetto
Indugia lo sguardo sul gorgo degli
occhi: equoreo accesso, ingorgo, recesso
schiuso all’ingenuo interludio del
giorno, all’inquieto ritorno tra
mosaici di luoghi spersi, di
sobborghi. Incubo o sogno - confuso
prodigio in un luglio di porte
serrate, dèmoni, luci e acque
morte - è quest’ansia
di lontananze,
di sembianze distorte: inespugnate
leggende di ali e voci risorte.
*
Agile l’alce glissa gli aculei
e gigli e gaggie culla o l’àulico
salice ascoso ai suoi occhi.
Al lago segue la losca luce
glauca (la logica glossa?) che
scuce ali al cielo e lega a lise
agogiche la gola. Chi sei elisa?
E io?
*
L’antro e poi, ancora,
il bosco. Esco o, forse.
Persa è
la memoria del passaggio,
la parola chiave, e
poco rimane, tra occhi
e mani, di minime
eredità di
luce. Solo neve cuce,
ora, su fosforo e
fosfeni, un intervallo
d’anni, di strappi feroci
e affanni, mentre
bulimici centurioni,
custodi del nulla,
spartiscono ancora, ignari morti,
inganni e panni.
*
Non mi sorprendi più come
quelle parole arcane, amate,
incantate e
già lontane, sfiorite, svuotate.
Ed estraneo è,
ora, il tuo corpo, come
fosco è il limite estremo
del prato, il fraseggio del bosco,
il brusco precipitare
del fosso, il fruscio del bosso.
Eppure, amore, in
quest’ottuso rumore di folle,
in quest’osceno dolore -
tra verbo o silenzio - sei
tu l’attonita menzogna,
la bestemmia in cui mi riconosco.
*
Mi parlavi del silenzio – una
remota stanza – e anche l’assenza
cullata dal tuo riso – infantile
prodigio – mutava viso. Beffata
era l’ansia della morte, di quello
sbattere di porte tra isole assorte,
sporte su sgomenti di ombre corte.
E anche ora, che la tua voce tace,
resta un quieto gioco nel sole
il labirinto delle ore: fola
arresa al senso della tua parola.
Antonio Carano
Biografia:
Antonio Carano, nato a Campobasso, dove vive e lavora, è laureato in pedagogia. Diverse le riviste letterarie, italiane e straniere, che si sono occupate della sua attività o hanno pubblicato suoi testi, tra cui: “Nuovi Argomenti”, “Tam Tam”, “Salvo Imprevisti”, “Anterem”, “Semicerchio”, “Tratti”, “Offerta Speciale”, “Il Banco di Lettura”, “Arenaria”, “Lo Spartivento”, “Tracce”, “Nuove lettere”, “L’Immaginazione”, “La Clessidra”, “Il Monte Analogo”, “Novilunio”, “Osiris”, “O”, “Kokusai Haiku Kiokal”, “Gradiva”, “Albatroz”. Ha, inoltre, pubblicato le raccolte di versi “La quieta follia del bosco”, con prefazione di Renato Minore e “Afonie”, con prefazione di Gio Ferri.
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