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Traducendo Einsamkeit

STANZE DEL NORD

SCORRONO LE COSE CONTROVENTO di FEDERICA GALETTO

ODE FROM A NIGHTINGALE - ENGLISH POEMS

A LULLABYE ON MY SHOULDER di Federica Nightingale

EMILY DICKINSON

venerdì 28 gennaio 2011

giovedì 27 gennaio 2011

GABRIELE PATANE'




John Everett Millais






Qualche giorno fa, ho ricevuto una e- mail, una di quelle e-mails che non ti aspetti di ricevere ma che, intimamente, vorresti invece ricevere più spesso. Scrive un'insegnante siciliana, Rosa Grillo, di Acireale, Catania. Mi presenta un giovane poeta diciottenne, autistico, innamorato della Poesia. Le parole in questi casi servono davvero a poco. E' stato un dono per me questa missiva, giunta come un raggio di sole inaspettato e tiepido. Ringrazio Rosa per avermi scritto, per avermi dato la possibilità di conoscere Gabriele e i suoi versi. Certamente, in seguito, chiederò a Gabriele di inviarmi altri suoi testi perchè credo davvero siano diamanti di gioia e di amore poetico, oltre che umano. Profondamente umano. E cosa è mai la Poesia se non un canto dell'umana condizione, in ogni sua forma e intensità? Quanto valore hanno questi versi scritti con sapiente mano e profonda interiorità, se non un valore immenso e inestimabile? Bravo Gabriele, e brava Rosa, per tutto ciò che fai nella scuola e nel privato affinchè giovani come Gabriele possano imparare ad amare e gioire della forza della Poesia.

Federica Galetto



§



Scrive Rosa Grillo:

"Oggi vorrei farle conoscere due poesie di un mio giovanissimo amico, Gabriele, di 18anni, autistico e poeta, innamorato della poesia che gli dà la possibilità di comunicare, attraverso i tasti del computer, una ricchezza emotiva e culturale serrata dai vincoli del suo stato tra le sbarre del silenzio.

Io amo da sempre la poesia, scrivo poesie, ma finora come mio territorio segreto. Tengo a dire, però, che nei miei lunghi anni di lavoro con gli studenti (ho insegnato Italiano e latino nei licei) non è mai mancato l'approfondimento e il laboratorio sulla poesia, soprattutto contemporanea; ne tengo tuttora uno, approfittando dello spazio offertomi da una Università popolare, per adulti e studenti insieme.

Ti invio brani delle due lettere di Gabriele, per dirti lo stupore mio davanti al suo modo di intendere la poesia. La presentazione a cui si riferisce nella prima è una sintesi in Ppt della vita e della poesia di Giorgio Caproni da me elaborata.
Gabriele, come vedi ha una grande sensibilità e una formazione letteraria di buon livello. Ama molto Leopardi, ma come vedi, è in grado di usare sapientemente il dialetto siciliano per esprimere la propria interiorità. Non credo occorra tradurre in italiano.

Nella prima lettera allude alla presentazione in Ppt di Giorgio Caproni, con molti testi dell'autore, da me elaborata alcuni mesi fa, che gli avevo inviato per rendergli più semplice l'accostamento al poeta.

Per quanto ci riguarda, continuo a ritenermi fortunata per avere scoperto il tuo Blog. Il mio, segnalato in basso, è molto elementare, ma cerca di dichiarare attraverso la letteratura e altro il mio modo di intendere l'impegno, la lotta per "altri doveri" di cui parla Vittorini in Conversazione in Sicilia".
Cari saluti,Rosa Grillo"




§




19/01/11
Validissima Professoressa
forte la ringrazio per la coinvolgente nuova decisa bellissima presentazione inviata.
Le presento due mie poesie gioia della mia muta esistenza.
Potremmo cambiare le nostre vite con l'espressione potente della interiorità e dell'umanità che la poesia riesce a trasmettere.
La ringrazio ancora volendo grandemente portarle il mio abbraccio.


Gabriele Patanè


24 /01 /11
Molto nobile è la poesia,
lettura piacevole per me è stata la sua poesia dell'età fresca e potente dell'adolescenza.
Gioia e dolore, dono espressivo dei poeti, continuano a vivere grazie solo alle parole volute e conosciute dai poeti. L'abbraccio con affetto


Gabriele Patanè


*



Alla luna


Bolle d’oro sull’odoroso mare
porgi l’anima al pieno sole
luna indicami poi il destino
ogni prova ogni dono dolce e lontano
domina piena le povere piccole dimenticate vite

Silente domani
lenta e lontana risplenderai



*



Ognunu pensa

Ognunu pensa paroli e canzuni
luntani nidi e prufumati rosi
ognunu sogna risati e biddizzi
poi è purtatu da lu ventu forti
versu li porti e terri senza suli
unni li passi sunu sulitari
unni la duci e preziusa primavera
nun po' danzari la sò ridenti ura.


GABRIELE PATANE'






Il blog di Rosa Grillo


http://www.segnisulmuro.blogspot.com/

mercoledì 26 gennaio 2011

EMILY DICKINSON

Seeing New Englandly (opening) from Ernest Urvater on Vimeo.






The poet Emily Dickinson lived all her life (1830 – 1886) in the small New England town of Amherst, Massachusetts. Yet from the large windows of her bedroom in the family Homestead, she observed a world as vast as her imagination, creating almost 1,800 poems, many of them now considered among the greatest in the English language. “I see New Englandly,” she wrote, alert to the drama of the weather, the spectacles of the northern sky, the lives and deaths of the people around her, the natural world she shared with plants and creatures, and also events far beyond the horizon of her native town.

Produced and edited by Ernest Urvater under the auspices of the Emily Dickinson Museum


Emily Dickinson visse tutta la sua vita (1830-1886) nella piccola cittadina di Amherst, Massachusetts. Dalla grande finestra della sua camera da letto, nella casa di famiglia a Homestead, osservava un mondo vasto quanto la sua immaginazione, creando almeno 1800 poesie, molte delle quali sono oggi considerate fra le più grandi scritte in lingua inglese. In "I see New Englandly", scrisse della drammaticità del tempo atmosferico, degli spettacoli dei cieli nordici, delle vite e delle morti delle persone che la circondavano, del mondo naturale che condivideva con piante e creature, e anche di eventi molto ben lontani dall'orizzonte della sua città natìa.

Prodotto e redatto da Ernest Urvater con il benestare dell' Emily Dickinson Museum

Testo e Lettura della poetessa Susan Snively

giovedì 20 gennaio 2011

Poesia in traduzione










- Ho visto passare i corvi -



Ho visto passare i corvi
sulla mia casa,
in un canto roco sui tetti
E ho visto piangere una tortora
perduta nella corsa,
le lepri rosicchiare
il legno del nocciolo
Per fame arrotano i denti ai fusti
E ancora si tendono le orecchie a questo
Andare,
così impervio da render piatte le ore
nella polvere
scrigno di ombre
restie ai fuochi lontani di risate
Ho visto imbianchire le ortensie,
fiaccarsi di gelo impassibile
Come quando si legavano minuti nodi
d’affezione alle caviglie, trascinandole
I deserti resi d’onice, in piedi guardano
Senza muoversi
Distese e distese di fiori coperti da drappi
Incalcolabili letarghi nel vuoto
o solo meste sporgenze di rombi di tuono
I temporali, abbattuti sui cirri
spiegano ali incresciose
e sebbene s’accorgano di me divagano
contemplando i frutti assiderati del buon Dio
chè il silenzio non si piega e non dorme,
come rabbia liquefatta sul dorso d’un tendine
infiammato o stirato dal vento
Meritavo le nespole e i fichi maturi
Oppure mele cotogne fra brevi salti di fosso
Alleggerite sacche d’orzo, lenticchie e sale
gonfiate di gocce passanti
Lingue diverse per un’ampia comprensione
del mondo
E’ la giovinezza che se ne va
e il Tempo che batte sull’incudine,
ma riempita è l’aria di parole e significati

[O, never say that I was false of heart]

Nel dubbio s’avvolge una sola sillaba
Ma colmo è l’universo di pensiero
che tengo stretto al petto, invaghita
I lacci stretti sostengono senza fare male
A volte, soltanto



Federica Galetto dalla raccolta "Traducendo Einsamkeit"



- I saw the crows passing over - (English translation)




I saw the crows passing over

my house

in a hoarse singing on the roofs

And I saw a dove crying,

lost in the race,

hares chewing the hazel wood

sharpening their teeth so as not to starve

And yet we tend our ears to this

Going,

so steep as to make the hours flat

in the dust

box of shadows

reluctant toward remote fires of laughter

I saw hydrangeas bleaching,

sapped of impassive cold

As when you tied small knots

of affection at the ankles, dragging them

Deserts are made of onyx, they watch standing

Without moving

Blankets and blankets of flowers covered with drapes

Incalculable lethargies in the emptiness

or just sad projections of thunder claps

The storms crashed on cirrus

opened regrettable wings

and although they noticed me they wandered

contemplating the frozen fruits of the good God

for silence does not bend and does not sleep,

like anger melted on the back of an inflamed tendon

or stretched by the wind

I deserved medlars and ripe figs

or quinces among short ditch jumps

Lightened bags of barley, lentils and salt

inflated of passing drops

Different languages for a vast understanding

of the world

It 's youth that is going away

and time that beats on the anvil,

but the air is filled with words and meanings



[O, never say That I was false of heart]



A single syllable is wrapped in doubt

But the universe is full of thought

I keep it close to my breast, in love

The tight ties don’t hurt

Only sometimes





Federica Galetto (from the collection "Translating Einsamkeit")

SALVATORE SBLANDO







Torinese come me, o perlomeno d'adozione, Salvatore Sblando mi ha regalato momenti di gioia nel percorrere con i ricordi le strade della mia città. La sua poetica guarda con occhio lucido le cose e le persone,estrapolandone luce e ombre che vivono sotto il derma del quotidiano. Semplicemente.

"Perché siamo testardi come il verde degli alberi
sui rettilinei della mia città e belli
come la scoperta di una canzone al primo ascolto"



§



DUE GRANELLI NELLA CLESSIDRA

Si fa due granelli di clessidra
questa sera il nostro tempo.
Nel riflesso della polvere
sui vetri t'avvicini.
Oltrepassi incroci d'ansia
calpestando le crepe del tuo cuore
ed il pavè di Via Nizza

Di cosa parlare, l'argomento
è a piacere.
Forse dei portici o dell'Ilaria
e le sue palpebre chiuse

Non è ora per l'abbraccio
la notte incede a San Salvario.
Rincorri l'autobus trentacinque
delle ventidue e trentatre.
Si perde così la tua ombra
fra i rettangoli del Lingotto

Nel riflesso della polvere
sui vetri t'allontani

E dal mio zaino ritrovo
le Ceneri di Pasolini




ESMERALDA E IL SUO MARE

Ti chiamerò Esmeralda
dove si fa calma quest'assenza
perché sarai figlia
e poi madre del silenzio

Ti chiamerò, col nome
che si legge ad ogni fiato
indefinibile alla notte

Ti chiamerò ancora
senza sbagliare la pronuncia
ma sarà muto il suono del vento
giù dalla scogliera

Ti chiamerò così
come il mare le sue acque
e sarai onda capace d'arrivare

lì dove c'è l'incomprensibile





SENZA METAFORE

Hai chiesto come stai; ho risposto, felicemente indifeso.
E non importa se dovrò attendere il minuto che occorre
per respirare questo tuo continuo venirmi incontro.

Perché siamo testardi come il verde degli alberi
sui rettilinei della mia città e belli
come la scoperta di una canzone al primo ascolto

Mentre il letto non fa riposo e le lane sulla punta
dei nostri nasi scaldano ogni cosa prossima allo sguardo
noi rimaniamo fitti senza trovar metafore nel passare
su tutto quello che spontaneamente ci appartiene

Ed allontaniamo muri che non fanno case
giorni che non compiono anni





Salvatore Sblando - da "Due granelli nella clessidra" - Lietocolle 2009



Biografia:


Salvatore Sblando è nato nel 1970 a Torino, dove attualmente risiede e lavora in qualità di dipendente della locale azienda di trasporti. Con testi poetici inediti è risultato finalista in concorsi nazionali ed internazionali - tra i più recenti "Verba Agrestia 2009" - e sue liriche sono pubblicate in antologie. Partecipa attivamente a readings e manifestazioni poetiche.
Nel 2009 pubblica la sua prima raccolta poetica dal titolo: "Due granelli nella clessidra", Ed. LietoColle.

sabato 15 gennaio 2011

LA VITA IN PROSA - CONCORSO DI INEDITI IN PROSA










LA VITA IN PROSA

Concorso Nazionale di Narrativa

Seconda edizione, 2011

- scadenza 31 marzo 2011 -

NORME DI PARTECIPAZIONE
Il Concorso prevede la selezione di scritti inediti in prosa (racconti, lettere, considerazioni, brani di diario e qualsiasi altro testo creativo scritto in prosa).

Periodicamente alcuni dei testi migliori pervenuti potranno inoltre essere inseriti, indipendemente da quella che sarà la classifica finale del Concorso, nella rivista telematica DEDALUS: corsi, concorsi, testi e contesti di volo letterario, www.ivanomugnaini.splinder.com. Nel sito DEDALUS sono presenti, preceduti da un commento introduttivo, liriche, prose e interventi critici di alcune delle voci più significative del panorama letterario contemporaneo. Sono stati pubblicati, tra gli altri, Antonella Anedda, Alberto Bertoni, Biagio Cepollaro, Maura Del Serra, Gabriela Fantato, Anna Maria Farabbi, Anna Maria Ferramosca, Mauro Ferrari, Luigi Fontanella, Alessandra Paganardi, Alessandro Polcri, Maria Pia Quintavalla, Massimo Scrignoli, Valeria Serofilli, Antonio Spagnuolo, Paolo Valesio, Viola Amarelli, e molti altri. Per una visione completa degli autori pubblicati, tutti degni di una menzione che per ragioni di spazio non è possibile proporre qui, si consiglia di visionare direttamente il sito www.ivanomugnaini.splinder.com.

La Giuria del Concorso è composta da IVANO MUGNAINI (scrittore, direttore della collana di narrativa di puntoacapo Editrice), MAURO FERRARI (poeta, critico, direttore editoriale di puntocapo Editrice), VALERIA SEROFILLI (scrittrice, presidente del Premio Astrolabio), ADRIAN BRAVI (scrittore), ALESSANDRA PAGANARDI (scrittrice, collaboratrice di riviste letterarie nazionali), ROBERTA LEPRI (scrittrice) e DANIELA RAIMONDI (poeta e scrittrice), valuterà tutti gli scritti pervenuti e proporrà infine a puntoacapo Editrice una rosa di Finalisti, tra cui tre Vincitori.

I lavori Vincitori saranno pubblicati da puntoacapo Editrice, www.puntoacapo-editrice.com. Al volume contenente i loro racconti sarà dato ampio rilievo e godrà di una valida promozione grazie alla mailing-list dell’Editrice e a tutti i canali di informazione ritenuti utili ed efficaci.
Agli Autori che hanno inviato al Concorso La Vita in Prosa testi ritenuti interessanti potrà essere proposta la presentazione critica dei lavori con cui hanno partecipato, o di altri, anche già editi, presso lo storico Caffè letterario dell’Ussero di Pisa, o presso la Villa di Corliano, a San Giuliano Terme (PI), nell’ambito degli eventi letterari promossi dall’Associazione “Ussero Cultura”, appuntamenti che hanno visto avvicendarsi nei mesi scorsi alcune delle voci più significative della prosa e della poesia contemporanea. Al di là dell’esito finale del Concorso, inoltre, la Giuria si riserva di segnalare a puntoacapo Editrice un numero limitato di lavori ritenuti meritevoli. Agli Autori di questi lavori potrà inoltre essere proposto l’inserimento nel primo volume di “DEDALUS: Quaderno di Narrativa Contemporanea”, vero e proprio “Annuario” della narrativa italiana.



MODALITA’ DI INVIO:
Gli autori interessati devono inviare i loro testi entro il 31 marzo 2011. I partecipanti potranno inviare da uno a tre racconti, lettere, pagine di diario o brani di prosa creativa, a tema libero e di lunghezza compresa fra le due e le dieci cartelle per ciascun testo, tramite file in formato Word allegato ad un messaggio e-mail indirizzato al seguente indirizzo: ivmugnaini@libero.it , indicando come oggetto del messaggio: “Concorso La Vita in Prosa”.

I dati personali dell’autore (nome, recapito postale, telefono, cellulare e indirizzo di posta elettronica) dovranno essere riportati esclusivamente nel corpo del messaggio, non nel file. Dovrà essere anche allegata una dichiarazione secondo cui: “I testi sono inediti e di creazione personale dell’Autore, che autorizza il trattamento dei propri dati personali ai sensi del decreto numero 196/2003 nell’ambito del Concorso LA VITA IN PROSA”.

È gradito l’invio di un contributo spese in misura libera da inviarsi preferibilmente tramite assegno non trasferibile da accludere al plico con i testi e le dichiarazioni, intestato a: Ivano Mugnaini, oppure con vaglia postale indirizzato a Ivano Mugnaini – via delle Sezioni, 4348 – Località Bargecchia – 55040 Corsanico (LU), indicando come causale: “Concorso La Vita in Prosa”. E’ possibile anche l’invio tramite contante con lettera (preferibilmente assicurata, o raccomandata) indirizzata al medesimo indirizzo riportato qui sopra.

La partecipazione al Concorso implica l’accettazione del presente regolamento in tutti i suoi punti.
Il corretto ricevimento del messaggio e dei file, e la conseguente iscrizione al Concorso, saranno comunicati via e-mail a tutti i concorrenti.
Il nome dei Vincitori sarà comunicato sul sito Dedalus, su diversi portali letterari e sul sito di Puntoacapo Editrice.

Per eventuali richieste di maggiori informazioni, scrivere all’indirizzo e-mail: ivmugnaini@libero.it.

giovedì 13 gennaio 2011

JEAN-CLAUDE TARDIF













COLLANA LIBELLULE
Poesia francese contemporanea
Jean-Claude Tardif, Della vita lenta
Prefazione e traduzione di Chiara De Luca
Con una nota di Gianluca Chierici
ISBN 978-88-96263-41-9
pp. 164, € 12,00

qui per acquistare:

http://www.kolibrisbookshop.eu/store/?p=productMore&iProduct=51



Novembre non si agita, s’incolla alla consuetudine, ostinato e colmo di rappresaglie. Respira i mali del sale, più simile a un presagio che al terrore, più vicino a una nuova leggenda che all’eterno dimenticare. Dorme un indovino nell’autunno di queste pagine, una speranza che custodisce evocazione e modestia. Un’andatura paziente che scopre la vita nel suo incedere. Ci sono regole non scritte che trasformano la nostra esistenza. Che ci permettono di credere alle fiabe. Regole che arrivano da altrove. Dal fumo della pipa, da un treno che solca il bosco, dai piedi di una bimba che gioca a Mondo. Buttiamo il gessetto per terra. Chi andrà fino all’inferno? Chi ne ha preservato il ricordo? Una memoria di nomi impronunciabili emerge dal bordo dei giardini, amori affamati che hanno smarrito il ritorno– diventano lontananze, voli di piccioni. In questo libro di Jean Claude Tardif i confini sono aspri. Semplicità e silenzio come labbra di un’unica bocca, si contendono ogni sillaba, ogni piccolo tremore. Sulle panchine, un sole timido scalda le copertine dei libri. Tra un clacson lontano e le ultime tracce di rugiada, piccoli fuochi sonnecchiano nei riflessi delle finestre, concedendo ai versi il giusto tepore, l’eco di un cielo delicato. Da questi risvegli il reale affiora come uno spettacolo raro. Che va colto tra i fumi dei camini, nel vivere comune del pane sulle tavole. La poesia percorre vie impervie, tracciando un credo che non dà risposte. Si affaccia con rispetto alle soglie del racconto, in un movimento lieve, oltrepassa i rumori senza agonie. Sfugge al tempo, firma le ossa dello smarrimento. Qui nasce una misura senza la quale gli spasmi sarebbero violenti,un metro velato che accarezza il viso con dolcezza, donando al profondo un continuo riaffiorare di parole. Una febbre leggera che cesella storie brevi, alle quali è necessario prestate orecchio, per far si che il cuore ne assapori la natura di miele e lupi. L’anima di Della vita lenta è intrisa di rifugi, di periferie e vagabondi vicini alla danza della sera– d’un pianto che cerca l’angolo più caldo del libro, per perdere la pettinatura in un bacio, per sciogliere il destino delle atrocità, in un testo che si posa sui nostri occhi, attraversandoci, come fossimo salici al vento.

Gianluca Chierici


La difficile convivenza di silenzio e rumore, di parola e tacere è architrave della poetica di Tardif, poggiata su versi ora concreti e radicati, ora abbandonati alla spaventosa libertà dello slancio nell’oltre. Il verso di Tardif si presenta infatti come collana di parola (di) pietra in bilico sul ciglio del precipizio, tra la levità del volo e la gravità della caduta, come “parole appese”, tra abissi gravidi di silenzi e altitudini dove il grido si disperde riverberato all’infinito dall’eco. E allo stesso modo si centellina nei “piccoli rumori della vita”, verso i quali il poeta porge l’orecchio come quando era bambino, attento, teso, in bilico come le proprie stesse parole sospese a un rinunciato equilibrio. Perché “Lui è delle parole che danno da vivere; / con il loro gusto di timo, di miele; / di piogge a novembre”; è nelle parole come pane da spezzare e offrire, così come nella briciole del verso rimaste dal pasto consumato da una memoria vorace. Che non lascia scampo né pace al poeta, incline, come l’adolescente della sua poesia, a sognare “di non sognare più per abbandonarsi alla parola”. A sognare cioè di essere presente, incarnando un silenzio di ricordi e grida di futuro, per essere abbandono di parole, ovvero esistere in parole (abban)donate nel momento stesso in cui le si incarna, come quei “disastrosi viaggiatori” “che da tanto tempo / hanno smarrito carte e bussola / del ritorno”, eppure felicemente errano, a occhi aperti, ricettivi e pronti e attenti all’altro, all’oltre.


Dalla prefazione di Chiara De Luca




*

La nuit n’est ni plus sereine
ni plus inquiète

qu’au solstice

partagée simplement
entre le désir de mots
qui la contraignent

et les beautés du silence


*


La notte non è più serena
né più inquieta

che al solstizio

semplicemente contesa
tra il desiderio delle parole
che la opprimono

e le bellezze del silenzio



*


Silences où je n’oserai plus ton prénom
jonquille étrange des matins d’hiver
alors que le ciel sera si léger

Te soulever au-dessus de mon visage
sera souvenir de nuage,
histoire de neige

reflets de ces contes que je ne dirai plus
pour mieux les savoir sur tes lèvres
piquetées de chants d’oiseaux

et de la fièvre qui davantage
nous fait adorer nos vieilles jeunesses


*


Silenzi in cui non oserò più il tuo nome
strana giunchiglia dei mattini d’inverno
quando il cielo sarà così leggero

Sollevarti al di sopra del mio viso
sarà ricordo di nuvola,
storia di neve

riflessi dei racconti che non narrerò più
per meglio saperli sulle tue labbra
punteggiate di canti di uccelli

e la febbre che più a lungo
ci fa adorare le nostre vecchie giovinezze


*


Il est des mots qui donnent à vivre
avec leur goût de thym, de miel ;
de pluies en novembre
quand les femmes ressemblent à leur tristesse
Des mots coupés, frais, sur la table,
pains blancs mangés des yeux
où s’abreuvent des îles
et des poitrines à jeun
tendues, voiles d’adolescente
qui rêve qu’elle ne rêve plus,
s’abandonne à la parole




*


Lui è delle parole che danno da vivere;
con il loro gusto di timo, di miele;
di piogge a novembre
quando le donne somigliano alla loro tristezza
Di parole tagliate, fresche, sulla tavola,
pani bianchi mangiati degli occhi
dove si abbeverano isole
e petti a digiuno
tesi, veli d’adolescente
che sogna di non sognare più,
si abbandona alla parola


*



Léger coup de vent ou chevelure qui se défait —
C’est la bise sur la draille de l’épaule,
par millier des rêves d’animaux qui s’épuisent

une odeur qui se fait plus tendre,
un arôme qui assigne le moindre frisson
du bonheur.
Sur le mur la lumière s’attise
au même instant que le matin
et déjà le regret des pluies,
des ombres dures comme la jeunesse ;
demain viendront les vêtements d’hiver
les armoires plus lourdes de chêne
où s’endorment
et le pain et les morts

ainsi que l’amour que le temps affame


*


Lieve colpo di vento o la pettinatura che si disfa –
È il bacio sulla draglia della spalla,
di migliaia di animali che si sfiancano

un odore che si fa più tenue,
un aroma che fissa il minimo brivido
di gioia.
Sul muro la luce si attizza
nello stesso istante in cui il mattino
è già il rimpianto delle piogge,
delle ombre dure come la gioventù;
domani verranno gli abiti invernali
gli armadi più pesanti di quercia
dove si addormentano
il pane e i morti

così come l’amore che il tempo affama.


*


Près de la grille
le schéma d’un verdier
coupable de trop de fatigue,
d’avoir révéré le vol

les plumes de sa queue
ont la sévérité d’un éventail
de pénitente
qu’on ne pourrait pas refermer
le temps manquant soudain
face à la béance du ventre ;
œil ouvert sur la fuite de
milliers de moucherons,
de petits insectes plus anonymes

connus seulement de la dent du chat


*



Accanto al cancello
la sagoma di un verdello
colpevole di troppa fatica,
di aver venerato il volo

le piume della coda
hanno la severità di un ventaglio
da penitente
che non si potrebbe chiudere
mancando all’improvviso il tempo
di fronte alla beanza del ventre;
occhio aperto sulla fuga di
migliaia di moscerini,
di piccoli insetti più anonimi

noti soltanto al dente del gatto


*



Faire halte au village,
la main de l’ami nous dit les souvenirs ;
la fraîcheur des petits matins sous le saule
alors que la tourterelle à collier
trace ses nouveaux territoires

La nuit a ôté ses fers
et les forges de l’aube
marquent les filles de joies nouvelles —
une jupe de vent léger,
une odeur de vanille qui bouleverse
le chèvrefeuille

un rien nous prie d’être au Monde

le friselis d’un Saint-Amour
comme une première faute à la fontaine
(plus tard nous y verrons notre seule hardiesse)

Faire halte au village
à présent que l’ami siège dans l’album du regard,
y attendre le crépuscule
pour mieux croire en son lendemain


*



Fare sosta al villaggio,
la mano dell’amico ci dice i ricordi;
la freschezza dell’alba sotto il salice
mentre la tortora dal collare
traccia i suoi nuovi territori

La notte ha tolto i suoi ferri
e le fucine dell’alba
marcano le ragazze di gioie nuove–
una gonna di vento lieve,
un odore di vaniglia che scompiglia
il caprifoglio

un niente ci prega d’essere al Mondo

il fruscìo di un Saint-Amour
come una prima volta alla fontana
(più tardi ci vedremo la nostra sola audacia)

Fare sosta al villaggio
ora che l’amico si trova nell’album dello sguardo,
attendere là il crepuscolo
per meglio credere nel proprio domani.


*


Devant moi la fontaine des hommes assis,
non pas muette
mais pleine de retenue
pour les mots qu’elle prononce,
l’eau n’y murmure plus
mais nous dit sa geste
d’un simple mouvement du vent,
d’une aile de mouette

Dans l’immeuble d’en face,
derrière des rideaux ajourés,
un enfant en bas-âge
pleure.
Le voilage n’étouffe pas tout à fait son cri
mais fait qu’on l’ignore davantage

Les pigeons trottinent éperdument
par peur de l’orage qui s’achève
et les fait se souvenir

Dos au square et aux jeux d’enfants
je lis L’homme indécis d’Hofmannsfhal

la pluie comme seul repère


*


Davanti a me la fontana degli uomini seduti,
non muta
ma piena di riserbo
per le parole che pronuncia,
l’acqua non vi mormora più
ma ci dice il suo gesto
con un semplice movimento del vento,
d’ala di un gabbiano

Nel palazzo di fronte,
dietro le tendine ricamate,
un bimbo piccolo
piange
Il velo non ne smorza affatto il grido
ma contribuisce a far sì che lo si ignori

I piccioni zampettano disperatamente
per paura del temporale che finisce
e fa loro ricordare

Schiena al giardinetto e ai giochi dei bambini
leggo L’uomo indeciso di Hofmannsfhal

la pioggia per unico riparo


*


Parce que tant serrés
sur la chambre du cœur
les mots suffisent à peine à vous dire,
l’on vous devine parfois
dans le creux du silence,
dans l’œil mouillé du dernier venu,
dans sa façon de vous offrir
gîte et couvert
après avoir sorti la nappe blanche
en points d’Assise
rangée, jusqu’alors, dans les combles d’une
armoire
pressée d’ombre et de modestie.
Nous nous savons chez nous
soudain connaissons le goût du tabac tendu
et mettons un nom sur les photos qui dorment


*


Perché tanto strette
sulla stanza del cuore
le parole appena bastano a dirvi,
vi s’indovina talvolta
nell’incavo del silenzio,
nell’occhio umido dell’ultimo venuto,
nel suo modo di offrirvi
asilo e riparo
dopo aver tirato fuori la tovaglia bianca
in punto d’Assisi
riposta, fino ad allora, nel pieno di un
armadio
pressata d’ombra e di modestia.
Noi ci sappiamo a casa
a un tratto conosciamo il gusto del tabacco teso
e mettiamo un nome sulle foto che dormono


*


J’aime ces soleils de novembre,
ceux-là même qui n’ont jamais cru à l’été
par réalisme
mais qui s’obstinent encore
à réchauffer ce fond de bourgogne
qui m’accompagne alors que je vous parle
comme on fait à l’ordinaire

D’en bas me viennent
des bruits de cocottes mêlés aux rires
c’est l’automne,
les dernières éclaircies du corps

Tout se blottit
petits bonheurs du jour,
meubles d’archange
en l’attente d’un soleil blanc,
d’empreintes profondes
escroquées à la nuit


*


Amo questi soli di novembre,
anche quelli che non hanno mai creduto all’estate
per realismo
eppure ancora si ostinano
a riscaldare questo fondo di borgogna
che mi accompagna mentre vi parlo
come si fa di consueto

Dalla strada provengono
versi di galline mescolati alle risa
è l’autunno
le ultime schiarite del corpo

Tutto si rannicchia
piccole gioie del giorno
mobili d’arcangelo
in attesa di un sole bianco,
d’impronte profonde
estorte alla notte



Jean-Claude Tardif è nato nel 1963 a Rennes in una famiglia di operai e attualmente vive in un villaggio in Alta Normandia, non lontano da Le Havre. Poeta, narratore, autore di racconti, anima da più di dieci anni gli incontri di “Livre à dire” a Montivilliers, dove invita e presenta autori sia francesi che stranieri. Dal 1999 dirige la rivista «À l’Index». Ha collaborato alla curatela di numerose antologie dedicate alla poesia contemporanea, alcuni suoi testi sono stati tradotti in tedesco, spagnolo, italiano, farçy, linguala… Ha pubblicato numerosi libri di poesia. La presente raccolta è parte di una trilogia che comprende Orcus (La Bartavell, 1995) e L’homme de peau (La Dragonne, 2002).
Werner Lambersy dice di lui: “Tardif è uno di quelli che inventano la vita laddove altri attendono che la vita li inventi…”

martedì 11 gennaio 2011

PAUL CELAN, NELLY SACHS - CORRISPONDENZA









In questo epistolario, l'amicizia e l'intesa intellettuale di Celan con la Sachs, diventano un momento essenziale della loro vita poetica e personale. In esso si racconta l'universo interiore di questi due giganti della letteratura del Novecento, che si raccontano l'un con l'altro e ci rendendo partecipi di alcune splendide pagine di prosa.
Le loro "preghiere in forma di poesia", esprimono, con il linguaggio della modernità, gli stessi dolori e le stesse speranze degli uomini e delle donne della Bibbia.

(dalla quarta di copertina)



Autori: Paul Celan e Nelly Sachs
Titolo: Corrispondenza
Originale: Briefweschel
Traduzione: Anna Ruchat
Editore: Il melangolo, 1993


Paul Celan (Czernovitz 1920, Parigi -suicida- 1970) è considerato uno dei massimi esponenti della lirica novecentesca. È altresì noto per il suo lavoro di traduttore.
In italiano sono tradotte le opere: Poesie (Mondadori 1976), Luce coatta e altre poesie (Mondadori 1983), La verità della poesia. Il meridiano e altre poesie (Einaudi 1993), Scritti rumeni (Campanotto 1994) e il Tiro di Presagi. Poesie inedite 1948-1969 (Einaudi 2001).

Nelly Sachs (Berlino 1891-Stoccolma 1970) scrittrice tedesca di famiglia ebraica, riparò in Svezia a causa delle persecuzioni naziste dove rimase per tutta la vita. L'intesa intellettuale e affettiva con Celan e la sua morte improvvisa la porteranno ad una rapida consunzione in un ospedale psichiatrico, morendo a breve distanza dall'amico e forse proprio a causa della scomparsa di esso.
Premio Nobel per la Letteratura nel 1966. Le sue opere tradotte in italiano: Poesie (Einaudi 1966) e Racconti di Gerusalemme (Utet 1972) con la collaborazione di S. Yosef Agnon.


"[...] Io credo in un universo invisibile nel quale inscriviamo ciò che abbiamo inconsapevolmente compiuto. Sento l'energia della luce che fa scaturire la musica dalle pietre e soffro per la freccia della nostalgia la cui punta ci colpisce subito a morte e ci spinge al di fuori, la dove l'insicurezza inizia a sciacquare via ogni cosa.
A Dio e la benedizione sia con Lei.

Nelly Sachs



"Cara, sinceramente ammirata, Nelly Sachs!
ieri l'altro , quando è arrivata la Sua lettera avrei voluto prendere il primo treno e venirea Stoccolma per dirle - con quali parole poi, con quali silenzi? - di non creder mai che parole come le Sue possano rimanere inascoltate. La camera del cuore è vero, è rimasta in gran parete sepolta, ma l'eredità della solitudine di cui Lei parla, quella verrà accolta qua e là, nella notte, poiché vi sono le Sue parole. False stelle ci sorvolano - certamente; ma il granello di polvere che la Sua voce impregna di dolore descrive l'orbita infinita.
Suo Paul Celan"


Caro Poeta, caro amico, è infinitamente bello sapere che Lei esiste!

Sua Nelly Sachs



Penso a te, Nelly, sempre, pensiamo sempre a te e a ciò che vive grazie a te! Ricordi ancora quando abbiamo parlato di Dio per la seconda volta, a casa nostra, del tuo Dio, il Dio che ti attende, ricordi che c'era il riflesso dorato sulla tua parete? Sei tu, è la tua vicinanza, che permette di vedere il riflesso, c'è bisogno di te, anche in nome di coloro ai quali tu sei e ti pensi tanto vicina, c'è bisogno della tua presenza qui e tra gli uomini, c'è bisogno di te ancora a lungo, c'è chi cerca il tuo sguardo - ; mandalo, quello sguardo, mandalo ancora all'aperto, consegnagli le tue parole vere, le tue parole liberatrici, affidati a lui, affida a noi, tuoi compagni di vita, della tua vita, questo sguardo, fai in modo che noi, già liberi, diventiamo i più liberi in assoluto, facci stare ritti, con te, nalla luce! [...]

Il tuo Paul che ti è grato,
grato da più profondo del cuore



Stoccolma, 10.3.1958
Bergssundstrand 23


Caro amico Paul Celan, oggi un cordiale saluto da neve e ghiaccio in occasione della presenza qui di Hermann Kasack, poichè il Suo nome è rimbalzato ancora una volta tra noi in un contesto così alto.
Sono sempre felice di saperla presente e di sapere che la Sua opera traccia cerchi via via più ampi intorno a sè. Segue qui per Lei un minuto alle prime luci dell'alba.


Perchè mai questa tristezza?
Questo completo defluire del mondo
Perchè nei tuoi occhi
gocce di luce,
la luce di cui si compone il morire

Leggeri scivoliamo giù per questa ripida roccia dell'orrore

essa ci guarda con le morti pregne di stelle
con queste placente irrigidite nella polvere
nelle quali fluiva il canto degli uccelli
mentre il labbro seppelliva il vino del linguaggio

O raggio che ci hai risvegliato:
come hai potuto prendere tra le tue braccia
che sempre più oscurano ogni patria
il nostro farci-stanchi
come hai potuto poi lasciarci soli nella notte



Adieu
Sua Nelly Sachs

domenica 9 gennaio 2011

ANTONIA POZZI

LA PARRESIA

sabato 8 gennaio 2011

The Poetry of Cooking: Maya Angelou, 'Great Food, All Day Long' | Food & Drink | Express Night Out





Maya Angelou ci accompagna in un percorso che partendo dalla cucina si snoda attraverso l'arte del sentire e del vivere l'esperienza della vita, adottando mezzi alternativi per creare e trovare se stessi. L'arte culinaria in un interessante parallelo con la Poesia. In inglese, l'intervista all'autrice a questo link:




The Poetry of Cooking: Maya Angelou, 'Great Food, All Day Long' | Food & Drink | Express Night Out

martedì 4 gennaio 2011

CAMEO





Photo di Claudia Drossert





Ero come quel fiore nella galaverna,

come quel petalo trapassato di brina

nell’apnea d’un sospeso intendimento

fra il getto del vento a scuotere

e l’impasse d’un sottile filo di ghiaccio

a trattenermi

sabato 1 gennaio 2011

IOSIF BRODSKIJ






Photo di Sergej Bermeniev






Non sono uscito di senno, ma sono stanco dell’estate.
Cerchi nel cassettone una camicia, e il giorno è perso.
Venga l’inverno e copra tutto, presto,
le città e le genti e, innanzitutto, il verde.
Io dormirò vestito, sfoglierò libri in prestito,
finché non se ne andrà per la sua strada l’anno,
quel che resta,
come il cane che sfugge al cieco e che traversa
lungo le strisce pedonali. È libertà
se scordi il patronimico del capo,
se è dolce la tua bocca più della chalvà
di Shiraz e se, col cervello strizzato
come il corno di un capro,
dall’occhio azzurro nessuna stilla scenderà

(I. Brodskij, Poesie. Adelphi. Trad. G. Buttafava)




Disfano, i giorni, il cencio da Te fatto...

Disfano, i giorni, il cencio da Te fatto:
Si stringe a vista d'occhio, sotto mano.
La verde trama e' presto diventata
Celeste, grigia, e poi marrone, stinta.
E ai bordi e' lisa, come di batista.
Mai i pittori descrivono la fine
Del viale. A quanto pare si ritira,
A lavarlo, il vestito della sposa,
E anche il corpo non si fa piu' bianco.
Sia che secchi il formaggio, o manchi il fiato.
Ossia: l'uccello e' un corvo, di profilo,
Ma in cuore e' un canarino. E' che la volpe,
Quando l'azzanna, semplice, alla gola,
Non sta a badare se e' sangue o tenore.


*


Nella parte settentrionale del mondo ho trovato un rifugio
nella parte ventosa, dove gli uccelli, volando giù
dalle rocce, si riflettono nei pesci e scendono a dar di becco
fra i gridi su una superficie di screziati specchi.

Qui non trovi te stesso, anche chiuso a doppia mandata.
In casa non c'è un cane e freddo nero è in branda.
La finestra al mattino ha una tenda di cenci di nuvole.
Poca terra, e non si vedono uomini.

In queste ampiezze signora è l'acqua. Nessuno il dito
punta nello spazio e "via di qui" strilla.
L'orizzonte si rivolta come un cappotto,
aiutandosi con queste ondate mobili.

E non riesci a distinguerti dai pantaloni tolti, dalla maglia
appesa - evidentemente, i tuoi sensi sono corti
o la lampada ti oscura-. Tocchi il loro gancio
per dire, ritirando la mano: "sei risorto".


(da "Ninnananna da Cape Cod")



*


Io ero solamente ciò
Io ero solamente ciò
che tu toccavi, quello
su cui – notte fonda, corvina –
la fronte reclinavi tu.

Io ero solamente ciò
che tu là in basso distinguevi:
sembiante vago, prima, e poi
molto più tardi, tratti.

Sei tu ardente, che
sussurrando hai creato
la conchiglia dell’udito
a destra, a manca, là, qui.

Tu che nell’umida cavità,
tirando quella tenda,
hai messo voce, perché
potesse te chiamare.

Cieco ero, nulla più.
Tu, sorgendo, celandoti,
hai dato a me la facoltà
di vedere. Si lasciano scie

così, e si creano così
mondi. Spesso, creati,
si lasciano ruotare così,
elargendo regali.

E, gettata così,
in caldo, in freddo, in ombra, in luce,
persa nell’universo,
ruota la sfera e va.



*


Metti in serbo per le stagioni fredde
queste parole, per le stagioni dell'ansia!
Come il pesce sulla sabbia, l'uomo sopravvive:
se si strascina agli arbusti e s'alza
su gambe incerte e storte e va, come un rigo dalla penna,
nelle viscere stesse della terra.

Esistono leoni alati, sfingi col seno
di donna, angeli in bianco e ninfe del mare:
a colui che sostiene sulle sue spalle il peso
di buio, caldo e - oso dirlo - dolore,
sono più cari degli zeri concentrici nati
da parole gettate.



*



Chinati, ti devo sussurrare all'orecchio qualcosa:
per tutto io sono grato, per un osso
di pollo come per lo stridio delle forbici che già un vuoto
ritagliano per me, perché quel vuoto è Tuo.
Non importa se è nero. E non importa
se in esso non c'è mano, e non c'è viso, né il suo ovale.
La cosa quanto più è invisibile, tanto più è certo
che sulla terra è esistita una volta,
e quindi tanto più essa è dovunque.
Sei stato il primo a cui è accaduto, vero?
E può tenersi a un chiodo solamente
ciò che in due parti uguali non si può dividere.
Io sono stato a Roma. Inondato di luce. Come
può soltanto sognare un frammento! Una dracma
d'oro è rimasta sopra la mia retina.
Basta per tutta la lunghezza della tenebra.

(da "Poesie Italiane/Elegie romane")



*



Sono nato...

Sono nato e cresciuto nelle paludi baltiche, dove
onde grigie di zinco vengono a due a due;
di qui tutte le rime, di qui la voce pallida
che fra queste si arriccia, come il capello umido;
se mai s’arriccia. Anche puntando il gomito, la conchiglia
dell’orecchio non distingue in esse nessun ruglio,
ma battiti di tele, di persiane, di mani,
bollitori su fornelli, al massimo strida di gabbiani.
In questi piatti paesi quello che difende
dal falso il cuore è che in nessun luogo ci si può celare e si vede
più lontano. Soltanto per il suono è ostacolo:
l’occhio non si lamenta per l’assenza di eco.




*



Farfalla

I

Dirò: sei morta?
con una vita di ventiquattr'ore!
Troppa amarezza
in questo scherzo del creatore.
Riesco con sforzo
a pronunciare "vita"
nell'unità di data
di nascita e di consunzione
fra le mie dita:
mi confonde obbligare
una di queste grandezze
nello spazio di un giorno.

II

Perché i giorni per noi
sono nulla. Un vuoto
zero, nulla. Non puoi
appuntarteli al muro e agli occhi
renderli commestibili:
sul bianco sfondo
non possedendo corpo
sono invisibili.
Come te sono i giorni,
e quale peso poi
rimpicciolito dieci volte
può avere un giorno?

III

Dirò: tu non esisti?
Ma cosa mai allora
di simile in te sente
la mia mano? e quei colori
d'inesistenza non son frutto.
E chi ha suggerito
quelle tue tinte?
Io non avrei la forza,
io, grumo borbottante
di parole al colore estranee,
di immaginare questa
tua tavolozza.

IV

Sulle tue ali piccole
pupille e ciglia
- o belle donne e uccelli -
o ritratto volante,
dimmi, di quali volti
questi sono frammenti?
E la tua nature morte
di quali particelle,
di quali briciole è fatta:
di cose, frutti?
o magari di pesci
un disteso trofeo?

V

Forse tu sei paesaggio;
attraverso una lente
scopro un gruppo di ninfe
e una danza e una spiaggia.
E fa chiaro laggiù come qui?
oppure è cupo come
di notte? e quale astro
percorre, di',
quella volta celeste?
Quali figure
in quel paesaggio? e, dimmi, è copia
di quale vero?

VI

Penso che tu
sia questo e quello:
di volto, oggetto, stella
tu rechi i tratti.
Quell’orafo chi fu
che cesellò di fino
senza aggrottare i sopraccigli
sulle ali quel mondo
che ci stringe, che impazzire ci fa,
quel mondo dove tu
sei l'idea della cosa
e noi la cosa stessa?

VII

Dimmi, perché quel vago
ricamo ti fu dato in dono
soltanto per un giorno
nel paese dei laghi,
le cui specchianti superfici
conservano lo spazio? A te invece
questa breve esistenza
riduce la speranza
di finir dentro una retina
di tremolare in mano, di sedurre
al momento della cattura
l'occhio del cacciatore.

VIII

Non mi risponderai,
e non per timidezza
o per ostilità
nei miei confronti
e non perché sei morta.
Viva, morta... ma
a tutte le creature del Signore
in segno di affinità
per conversare, per cantare
la voce è data in dono:
per prolungare l'attimo,
ed il minuto, il giorno.

IX

E invece tu,
tu non hai questo pegno.
A rigore però
così è meglio:
meglio che con i cieli
essere in debito.
Non affliggerti, se
la tua vita, il tuo peso
son privi di parola:
è un fardello anche il suono.
Sei più incarnale
del tempo tu, più muta.

X

Tu non arrivi a vivere
fino a provare la paura.
Più lieve della polvere
vortichi su un'aiuola,
fuori dalla prigione
dove il passato e l'avvenire
ci chiudono e ci soffocano,
e per questa ragione
quando, in cerca di cibo, intorno
vai volando sul prato
anche l'aria d'un tratto
prende una forma.

XI

Così la penna va
sopra la carta liscia
di un quaderno, e non sa
come finisce
ogni sua riga,
dove si mescolano
saggezza ed idiozia
ma si fida dei moti della mano,
nelle cui dita batte la parola
del tutto muta,
senza togliere polline dai fiori,
ma facendo più lieve il cuore.

XII

Tanta bellezza
per così breve tempo,
spinge a una congettura
che fa storcer la bocca:
dire con più chiarezza
che il mondo per davvero
creato è senza scopo, o invece,
se scopo esiste mai,
non siamo noi.
Entomologo-amico, per la luce
non ci sono spilli
né per il buio.

XIII

Ti dirò "Addio"?
e addio al giorno che si compie?
a certi uomini la tigna dell'oblio
il senno corrompe;
ma bada, è tutta
colpa del fatto
che hanno dietro le spalle
non giorni a letto in due
non sonni fondi
o sogni folli,
non il passato, ma nubi
di tue sorelle!

XIV

Sei migliore del Nulla.
O meglio: sei più prossima,
sei più visibile.
Di dentro, ad esso
del tutto simile.
Nel volo tuo
il Nulla acquista carne;
nel quotidiano strepito
ecco perché
uno sguardo tu meriti:
sei la barriera lieve
fra il Nulla e me.




Biografia http://it.wikipedia.org/wiki/Josif_Aleksandrovi%C4%8D_Brodskij

BUON ANNO con Montale












Il primo gennaio (EUGENIO MONTALE) ("Satura")




So che si può vivere
non esistendo,
emersi da una quinta, da un fondale,
da un fuori che non c’è se mai nessuno
l’ha veduto.
So che si può esistere
non vivendo,
con radici strappate da ogni vento
se anche non muove foglia e non un soffio increspa
l’acqua su cui si affaccia il tuo salone.
So che non c’è magia
di filtro o d’infusione
che possano spiegare come di te s’azzuffino
dita e capelli, come il tuo riso esploda
nel suo ringraziamento
al minuscolo dio a cui ti affidi,
d’ora in ora diverso, e ne diffidi.
So che mai ti sei posta
il come – il dove – il perché,
pigramente indisposta
al disponibile,
distratta rassegnata al non importa,
al non so quando o quanto, assorta in un oscuro
germinale di larve e arborescenze.
So che quello che afferri,
oggetto o mano, penna o portacenere,
brucia e non se n’accorge,
né te n’avvedi tu animale innocente
inconsapevole
di essere perno e uno sfacelo, un’ombra
e una sostanza, un raggio che si oscura.
So che si può vivere
nel fuochetto di paglia dell’emulazione
senza che dalla tua fonte dispaia il segno timbrato
di Chi volle tu fossi e se ne pentì.
Ora
uscita sul terrazzo, annaffi i fiori, scuoti
lo scheletro dell’albero di Natale,
ti accompagna in sordina il mangianastri,
torni dentro, allo specchio ti dispiaci,
ti getti a terra, con lo straccio scrosti
dal pavimento le orme degli intrusi.
Erano tanti e il più impresentabile
di tutti perché gli altri almeno parlano,
io, a bocca chiusa.
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