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Traducendo Einsamkeit

STANZE DEL NORD

SCORRONO LE COSE CONTROVENTO di FEDERICA GALETTO

ODE FROM A NIGHTINGALE - ENGLISH POEMS

A LULLABYE ON MY SHOULDER di Federica Nightingale

EMILY DICKINSON

mercoledì 30 settembre 2009

MASSIMO BOTTURI

Felice Casorati









E’ con grande piacere che compilo questa breve nota di lettura per il libro “Scena madre” di Massimo Botturi. In “Scena madre”, l’autore rende la Poesia fruibile e possibile, la slega da ermetismi e ritocchi coprenti; la sua poetica risplende di purezza e stile asciutto nell’impronta forte di un realismo dettagliato che ci riporta contemporaneamente al passato, al presente e al futuro raccontati nel flash emotivo di una scena centrale, la scena madre del titolo, parte di un cortometraggio poetico.
E’ una raccolta questa che parla di amore, conflitti, memoria, che racconta in ogni sfumatura anche brutale la campagna e i suoi angoli di delizia, la sua gente, il lavoro e le cose iniziate e mai finite, i progetti lasciati in eredità a chi ancora vive e ricorda. Una raccolta che traccia profili lucidi di gente comune e grandi scrittori amati dal Poeta, le sue Icone, omaggio ai grandi che hanno attraversato il ‘900. Profonde parole spicciole per raccontare vita quotidiana e miserie,gioie e dolori della vita di ognuno nelle quali riconoscersi e cullarsi per non dimenticare.
Un libro che commuove e fa sorridere, nel seguire lo sguardo disincantato di chi sa aspettare per vedere e trovare il nocciolo di un insieme di gesti che fanno un’esistenza. Nei suoi “conflitti”, le guerre e le tribolazioni di chi ha combattuto per la libertà, nei suoi “Quasi d’amore”, il risveglio al desiderio e le umane gioie del sentimento e delle passioni. Un libro di varia umanità e profonda comprensione del vivere e dell’ascoltare il mondo nei suoi piccoli e grandi passi.

Massimo Botturi – Scena Madre
OTMA Edizioni, Milano - 2009




Alla Poesia

SCENA PRIMA

Ho mosso bene il globo di luna
un quarto appena:
ché illuminasse, netta
ogni tua parola rara.
Ed ogni vena ho teso
allo spasimo d’amore.
Così ho veduto i pesci salire la corrente
le reti d’altre mille tonnare
i fuochi al prato. La sabbia spinta
e l’uomo che ha sete.
Io, mortale
talvolta
penso t’abbia creata l’altipiano
il Dio del fiume
e il sole d’autunno sulle rose.
Perché hai sorriso tutta la sera
ed era un niente
a farti le narici perfette, un niente d’ombra
appena sopra il labbro
dipinto di amarena





Cronache operaie


NOVECENTO

Quel trasgredire giovane, contento:
levare l’uovo dietro a una gallinella rossa,
tu dimmi
che sapevi di tutte le officine?
Di piazze con il porfido e le baionette in canna?
Che ne sapevi, padre, dei piccoli operai
del loro canto tutto straziato per il pane
per lavorare il giusto
e morire ai camposanti
con bare di ciliegio e i figli, là davanti?
Tu che trovavi il resto del vino alla tovaglia
e cicche americane da farci due tirate,
che ne sapevi d’altre bandiere
dell’esilio, di quei compagni fronte salina
e monti al cuore?
Tu che ti scavezzavi la schiena a poche lire
e che a vent’anni andasti soldato
col piacere, di mettere le gambe
alla mensa volte tre;
che ne sapevi, padre
di Gramsci e Fortichiari?
Del sindacato e nafta da mettere ai trattori,
di chiavi da picchiare sui torni
e i Grand Hotel,
di laghi dove i ricchi giocavano fortune.
Che mai potevi dunque sapere tu
che a scuola
ci andasti giusto il tempo di due carabinieri
venuti a minacciare tuo padre, poca roba.
Potevi immaginare la terra così dura?
lo schianto del lavoro, con sempre la paura
d’una tempesta o peggio
d’annate magre e niente mangiare
che sapevi? Di case alte come montagne
giù in città
e di cantieri volti all’America, di là
regina dell’acciaio e del ferro.
La città
con le sue moltitudini
le macchine, ed i tram.
I ponti d’autostrada
la radio, il frigo, si
da metterci l’avanzo a bottega.
E la tivù, che ci uccideva i cine
i teatri e l’allegria
di stare nelle bettole a cantare
e stare su, fin quando gambe e ossa potevano.
Ma si
è stato tutto un secolo di gloria
eccoti qua
a chiedermi se avanzo qualcosa a metter via;
ché nella vita è sempre la stessa geometria
chi non possiede niente, lavora
e così sia





La memoria


LA MAGLIA NUMERO DIECI

Le mani sulla rete metallica
le tue,
nell’oratorio fatto a misura a poca gente
che prende la sua giacca, domenica
e qui viene
ad ammirare i figli in braghette sul pallone;
a chiedersi se han fatto abbastanza
se il mangiare, sia quello di una giusta sostanza
e i libri
e il resto,
le scarpe dell’inverno passato
e poi il completo, tenuto inamidato all’armadio
per le nozze, i battesimi
e le volte che serve esser signori.
Si viene a rinculare lo schioppo della vita
che ci ha sparati verso ogni cosa
senza mira, senza capelli a chiuderci gli occhi
e allora andiamo!
a innamorarci piano
del fieno, e delle rose.
Del bene che, discrete
regalano le spose






Icone


OMAGGIO A FEDERICO GARCIA LORCA

Tra i fiordalisi la serpe venne al sole,
la serpe dei frumenti colore dell’ulivo,
colore dei bastoni che guadano il fossato.

E fu la gemma rotta
un rubino sangue leso,

dalla tua bocca aperta sul seno di quei prati;

dove lasciasti i baci più cari
e i forti odori di pane vendemmiato futuro d’allegria,

di danze nelle gambe d’arancia
e donne more, le giovani col petto di luna senza spina.
Chi t’ha veduto disse sembravi un estudiante:
nelle tue mani bianche una vena di radice,

la forza ch’è nel fiore che spacca pietre e buio,
la grazia della semina del vento
il filo d’erba da cogliere la sera

uscito il firmamento





Conflitti


CECOSLOVACCHIA ‘68

I carri sono entrati su piazza Venceslao
pestando fiori
e sogni
e valide ragioni.
I carri sono entrati fin dentro casa mia
togliendo l’ombra e il fresco
e il bello dentro i prati delle fotografie.
I carri sono entrati
come una malattia,
un burro troppo rancido
una pesa disonesta.
E han fatto un buco grosso
alla sporta della spesa;
così mia madre piange sul latte
e non consola,
e il padre mio già corre alla stalla
a fare via
le mosche alle mammelle dei figli.
Piange Jan, piange la scuola i libri
che mai più scriverà. La musica dei bronzi
i cavalli, le osterie. Piange la radio
in questa cantina, piangi tu
col petto colorato di maggio
piango anch’io



Quasi d'amore


A VOLTE T’AMO SENZA TOCCARTI

A volte t’amo senza toccarti
senza svegliarti
e dirti le voci dei bambini
che passano, e coi legni al cancello
fanno bella
la vita che li aspetta davanti
a volte è il pino
che manda quel profumo d’immenso
e di maestoso,
che mette l’ombra addosso al tuo posto
e ti fa scura,
tu che hai la pelle chiara
di margherita pura.
A volte t’amo senza toccarti,
l’ho già scritto,
ma tu lo saprai solo domani
ora consumi,
stai con la bocca aperta, per aria
i piedi fuori
da quel lenzuolo pieno di uccelli
e anche di te;
ora tu vai per mari
ed ulivi di paese,
ti compri un altro nuovo vestito
coi bottoni, le uova per tua madre
i biglietti per il treno.


Massimo Botturi ©



Biografia:

Massimo Botturi è nato e vive in provincia di Milano.
Impiegato presso un’unità produttiva, scrive per diletto e passione.
È presente in diverse antologie di poesia (Latitudini, Pagine edizioni. Navigando nelle parole vol.14, edizioni Il Filo. Anatomia di un battito d’ali, Liberodiscrivere edizioni.) e nell’ambito della prosa (“Il volo dello struffello” Liberodiscrivere edizioni.“Parole di carta - 2 “ Marsilio editore).
Nel 2003 è uscito il primo libro interamente a suo nome “Frutto acerbo” OTMA edizioni, Milano.
Nel 2007, per l’editore Liberodiscrivere, Musicalia - ballate sui vetri del tempo.

lunedì 28 settembre 2009

ANDREA GUIDI

M.C. Escher











IL CONFESSIONALE



Due poliziotti comparvero dal fondo della via. Ancora abbastanza lontani. Il cellulare che aveva visto cadere dalla mano della donna. Ecco. Ora capiva. L’aveva sgozzata con un taglio violento e preciso. Sembrava impossibile che da quella gola fossero potuti uscire suoni d’aiuto.

Ma, evidentemente, lei era riuscita a inoltrare una chiamata, e qualcuno aveva sentito qualcosa. Appena in tempo lui si era deciso infine ad andarsene, senza togliersi i guanti e senza dimenticare la sua arma; solo un attimo prima, aveva avuto la tentazione di rimanere ancora un po’ ad ammirare l’eleganza del ginocchio sollevato, delle dita affilate disposte ad arco, delle pieghe della tunica.
Scappò via, svoltando in una traversa. La strada era molto lunga e c’era poca gente. Subito a destra c’era una chiesa. L’uomo vi entrò, senza correre, camminando rapidamente e dando un’occhiata all’angolo da cui era sbucato. All’interno c’era qualche persona anziana che stava pregando; nessuno parve notarlo. Pensò che i poliziotti sarebbero potuti entrare in chiesa. Decise di nascondersi da qualche parte. Nella navata sinistra intravide che la porticina di un confessionale era socchiusa. Senza frenesia vi si avvicinò, la aprì e si sistemò all’interno del cubicolo, sedendosi su uno sgabello girevole tondo. Si chiuse dentro. Sia a destra che a sinistra c’era, alla parete in legno, una grata quadrangolare di metallo, di maglia così fitta che sarebbe stato impossibile riconoscere un volto accostato dall’altro lato. Ecco come fanno i preti quando confessano, pensò. Si girano di qua e di là… Sembra una cabina per le fototessera… Un prete, sì, che sa stare all’ombra…
Improvvisamente, qualcosa crollò pesantemente sul gradino esterno, accanto alla grata destra, facendo scuotere e scricchiolare tutta la celletta.
-Padre...
Qualcuno si era inginocchiato. Voleva forse confessarsi. E se fosse stato un poliziotto? Non si erano sentiti passi frettolosi o trambusti particolari. Che situazione. Ma la cosa più importante era prendere tempo, dire qualcosa, per evitare in tutti i casi che venisse aperta la porticina.
-Padre. Padre… C’è qualcuno?
-S… Sì?
-Oh, Padre, è la prima volta che entro in questa chiesa. Ho esitato a lungo, prima di venire qui. Volevo confessarmi con un prete sconosciuto… Ho tanta vergogna… E forse anche questo è un peccato.
La voce, a tratti sussurrata, era bassa e un po’ tremante, ma pareva appartenere ad un uomo ancora giovane. Chissà se i preti danno del lei o del tu, quando confessano.
- La vergogna… La vergogna non sempre è un peccato.
- Padre, Padre, ho bisogno del suo aiuto.
- Che succede, dunque? Mi dica.
- Padre, credo di essere un assassino.
- Un assassino? Cerchi… Cerchi di fare un po’ d’ordine… Mi spieghi bene…
- Padre, Padre…
- Si calmi. Non alzi la voce. Questo è… un luogo di raccoglimento, di preghiera. Lei deve… deve soprattutto aprire il suo cuore.
- Oh, sì, Padre, è proprio così. Io non appartengo a questa parrocchia… La mia, la mia parrocchia, comunque, non è che la frequenti molto… Ma il fatto è che sono un vigliacco, che non riesco più a guardare in faccia le persone; e il prete che conosco io… è come se fosse un amico, ma, appunto, io non riesco a confidarmi con nessuno…
- Su, su, si calmi, ora, e cerchiamo di… di porci le domande giuste. Chi viene a confessarsi, ha qualche peso sulla coscienza. È il suo caso?
- Oh, Padre, in realtà è proprio quello che vorrei sapere. Vede, come le ho detto prima, io penso di essere un assassino; per l’esattezza, mi sento un assassino. Ogni giorno, ogni giorno, penso di uccidere. Io non ho mai commesso davvero un delitto, ma sento che potrei farlo durante molti momenti… Le prime volte, circa un anno fa…
- Mi scusi, quanti anni ha lei?
- Ne ho quarantacinque. Le dicevo, all’inizio è capitato con mia moglie. Sono anni che tra noi le cose non vanno più tanto bene, ed io… io ho desiderato spesso la sua morte. Ma era un pensiero così, un… un istinto, ecco. Poi, con il tempo, mi sono ritrovato ad immaginare spesso i modi con cui avrei potuto ucciderla, anche i più tremendi, i più macabri. E questi pensieri, a furia di corrermi dentro, mi hanno turbato così tanto, che ho cercato di scacciarli, ma… niente! Ritornano sempre, ed ora non si tratta più solo di mia moglie, ma anche dei miei suoceri, anche di alcuni parenti… fastidiosi, ed anche… anche dei miei figli, adesso. Sono sempre lì, che mi ritrovo ad organizzare mentalmente l’omicidio, a prepararlo. Ciò che ritengo grave, e che… che mi spaventa, è il fatto che non voglia più allontanare dalla mia mente tutte queste idee; e poi, non si tratta più di pensieri, ma di desideri. Di forti desideri.
- Mm. Lei, quindi, si sente come se l’avesse compiuto davvero, un omicidio.
- Sì, Padre, è proprio così… Non so più come fare. E non so se il perdono di Dio, in questi casi…
- Senta… Gli uomini sono tutti assassini. Tutti noi abbiamo messo in croce Nostro Signore. Tutti noi abbiamo la colpa dentro, fin nelle viscere. Certo, se sale così… così alla coscienza, interviene come un peccato attivo. Un grave peccato. Anche perché esiste la possibilità concreta di commetterlo, un delitto… un delitto reale.
- Oddio, Padre, cosa devo fare?
- Eh. Deve dirlo. Deve comunicare a tutti che lei ha ucciso. Perché è chiaro che è effettivamente come se lo avesse fatto sul serio.
-Ma… Ma se il delitto non l’ho commesso…?
- Delitti ne avvengono ogni giorno, e tante sono le volte che non si scoprono i colpevoli. Però, lei rifletta: chi sono veramente i colpevoli? I colpevoli sono tutti gli uomini. Ed è senz’altro colpevole chi non fa che pensare alla morte altrui, chi non fa che coltivare la terribile convinzione che un motivo umano abbia potuto giustificare la crocifissione di Nostro Signore; perché è qui che stiamo arrivando. L’idea di arrecare la morte a qualcuno nasce dal peccato originale, che è la nostra imperfezione, e che ci ha portato a farci calcolare i vantaggi della… eliminazione di un’altra persona; così noi, prima di considerare il giusto e lo sbagliato, calcoliamo, prepariamo il nostro utile, ciò che ci torna comodo, e questo senza tener troppo conto della vita degli altri, perché, si sa, se Dio ha permesso che l’uomo potesse far morire suo figlio, se ciò oltretutto è avvenuto perché Nostro Signore Gesù Cristo si è sacrificato per tutti noi, allora ognuno di noi, già portato al male da Adamo ed Eva, potendo concepire anche il delitto del figlio di Dio, si sente di ammettere certo un delitto qualsiasi, cioè qualsiasi delitto. Lei ha parlato di perdono divino, ma qui, per espiare veramente una tale colpa, la colpa… terribile di coltivare assiduamente il male nella propria testa, qui è necessario che, oltre alla confessione, lei si costituisca, si consegni alla polizia.
- Padre, dice davvero?
- Certo. Lei pensa che un sacerdote dica le cose così, per dire, durante uno dei suoi… uffici più sacri ed intimi? Il suo pensiero, in questo momento della sua vita, è troppo intenso. Il male trasuda dalle sue parole, perfino dal suo tono di voce. Lei deve dire a tutti che ha compiuto un crimine. In questo modo lei avrà un giusto castigo, che servirà anche a non commettere realmente alcun omicidio. Pensi, salverà sua moglie, i suoi figli, e i suoi familiari, oltre naturalmente alla sua anima, che in prigione avrà tutto il tempo di curare e purificare.
- Ma, Padre, come potranno credermi?
- Dica che ha ucciso. Esca di qua, vada sulla strada, cerchi la polizia, i carabinieri, chi vuole lei, e dica che ha ucciso. Dica che ha ucciso una donna, che le ha tagliato la gola. Purtroppo cose del genere sono all’ordine del giorno. Qualcuno troverà qualche vittima in cerca d’autore… Non dia spiegazioni, non fornisca riferimenti o dettagli, altrimenti potrebbero davvero non crederle! Cerchi di far capire bene tutto il male che c’è in lei; non importa se farà confusione sui fatti, non importa se la giudicheranno incapace di intendere e di volere. Ciò che conta è che lei si dimostri per come realmente è, cioè un individuo pericoloso, irresistibilmente trascinato verso le tenebre del male. Solo così potrà sentirsi libero, potrà davvero cominciare ad andare incontro a Nostro Signore… I suoi familiari un giorno la capiranno, l’apprezzeranno, e forse lei in quel giorno potrà diventare un esempio per loro, ma non solo per loro, per tutti, per la comunità cristiana, per l’intera società.
- Oh, Padre, io sento che lei mi sta aprendo il cuore…
- Non perda tempo. Vada, ora. Esca, urli al mondo la sua colpa, annunci il suo destino, e quindi prepari la sua remissione. Ciò che farà ora, subito, varrà come formula di assoluzione. Vada, presto, vada!
L’uomo si rialzò di scatto e corse, facendo rimbombare i suoi passi nello spazio ombroso. Schizzò fuori dalla chiesa e per la strada vide diversi poliziotti.
- È il cielo che vi manda! Liberatemi! Liberatemi dalla mia ossessione! Sono colpevole, colpevole! Sono un assassino!
Un agente gli si avvicinò.
- E, sentiamo, cosa avresti fatto? Chi avresti assassinato?
- Una donna. Sì. Sì! Le ho tagliato la gola. L’ho uccisa. Sì!
L’agente chiamò gli altri.
- È lui! Venite! Lo abbiamo preso.




Andrea Guidi ©





Biografia:




Andrea Guidi è nato a Genova nel 1961, città dove tuttora risiede. Essenzialmente è autore di narrativa, ma anche di poesie e articoli di saggistica letteraria e musicale. Nel 1991 ha fondato, con altri scrittori, la rivista di letteratura "Il Babau", di cui sono usciti quattordici numeri nelle librerie Feltrinelli di tutta Italia. Nel 2000 ha pubblicato il volume di racconti dal titolo "Quattro (più quattro) desideri", per “Caroggio Editore”. Nel 2005, per la stessa casa editrice è uscito “La vocazione del sosia”, suo primo romanzo. Nell'ottobre 2008 ha ultimato il suo nuovo romanzo, dal titolo "L'amore semplice". Nel 1990 si è laureato in Pedagogia con la tesi "Musica nella società dei mass-media". Dal 2008 insegna filosofia e storia al Liceo Classico Da Vigo di Rapallo. Dal 1983 al 2008 ha esercitato la professione di insegnante di scuola elementare. Nell'ambito di tale attività, ha costituito numerose orchestre di percussioni formate da allievi della scuola di base, con una delle quali ha vinto il Delfino d'Argento, primo premio del Festival Internazionale della Musica per la scuola (GEF), svoltosi a Sanremo, edizione 2000. Ha elaborato una metodologia molto articolata per l'insegnamento della musica nella scuola di base, che dal 1984 presenta nelle scuole di ogni ordine e grado attraverso corsi di aggiornamento. Dal 2000 è Coordinatore del Laboratorio Musicale di Genova-Pra', da lui fondato nel 1983.

domenica 27 settembre 2009

mercoledì 23 settembre 2009

SANDRO FRACASSO E FEDERICA NIGHTINGALE




Vi propongo una poesia scritta a quattro mani da me e Sandro Fracasso, che ringrazio. Il suo blog http://blog.libero.it/Poemsforfood/view.php?nocache=1253732385










Moniti d'argini e geli

fili inconsulti spostano un gregge

per far corpo cieco al dubbio schietto

fuor di camionetta due colpi

non spari non schiocchi



remano disfatte in tremore

doglie sopraffatte dai cieli spenti

covano gli assalti decisi al massacro

ma nemica dell'anima resta la paura

trafitta l'orda d'odio si apre un giogo

e risorge l'idea più affannata

d'un silenzio appassito fra le ciglia bagnate



sei tu o almeno lo eri

nei ricordi fiochi di un’estate vergognosa

quando dell’attesa si fece vendetta

e cauti insonni si riversarono

sui nostri corpi gelidi

paglia e fango a nutrir la risma

di plotoni assidui al deliquio



decapitata la notte sulla gola

fra berette giocattolo a incappucciare

i secondi

dai lombi erano le brame sfinite ad urlare

e stantie comete di lento passaggio

edulcorate scemavano

i detriti di un passato a limar le foglie

nel gelo sfigurate


Che sia un alito a risucchiare il cielo





Sandro Fracasso, Federica Nightingale ©

lunedì 21 settembre 2009

PACE SUBITO

(Liverani-Rai1)

SEBASTIANO ADERNO'

Foto di Samuela Salvotti ©






[MOLTI INCHINI ALLA GUERRA]
dalle finestre dei sobborghi
un rumore di fiammifero acceso
sul vetro smerigliato
lasciava intendere,
quando arrivava l'odore della cucina di un circo,
il pulviscolo e l'ansia
che illuminavano le cantine
di case con la fame misurata a palmi,
la febbre dell'acqua stantia
e il gomitolo della ninna nanna
e i morti stavano sotto lo zerbino,
all'entrata, piantati
sotto una fila di cappelli
per i molti inchini alla guerra



***



[PER I PROSSIMI GIORNI]

troppi autoctoni
annuiscono alla stazione
alla miseria
decisa nei rapporti di proporzionalità
ora che l'avanzo, il percento sommerso
si dà ai righelli, con tutto fare testamento
per prendere misure
sulla costante di mortalità
uomo, un metro e settanta, pelle nera, morto per annegamento
nelle cantine i tipi tipografici, quelli con gli occhiali
imparano
che ogni sbavatura può essere fatale alla rivoluzione
e ognuno temperamatite
per scavare
le carie sui denti del meccanismo
per il prossimo libro di storia
s'è già scelto che per l'indice
non basterà l'inchiostro
e io qui
tra un bacio e un pizzicotto
scarto le tue gote di caramella incartata rossa
e i papà di pomeriggio nel parco
ripetono unzioni,
tracciano croci sulle fronti dei loro bambini
con riti e supplicazioni
e la nonna di tutti
ancora si ripete col santo nel reggipetto
sui cento scalini da masticare coi denti
su fino alla madonna
sgravando tutti gli ave dai grani del suo rosario



***



[FORGIARE UN CREDO]

il direttore del circo legiferava
e messe in morsa le tempie
con colpi di scalpello sul crinale
il nano, la notte, forgiava un credo
con cui praticare un millimetro
sull'asse di inclinazione terrestre
e risalire una treccia
scartando caramelle
ad ogni nodo




Sebastiano Adernò ©



Biografia:


Sebastiano Adernò è laureato in Lettere Moderne. Sue poesie sono apparse ne Il Segreto delle Fragole e Verba Agrestia di Lietocolle. Nel volume Scrittura Amorosa a cura di Fara Editore e in antologie di Giulio Perrone Editore. Finalista al concorso Pubblica con noi indetto da Fara Editore ha pubblicato una silloge di trenta poesie dal titolo carminasincronici nell'antologia Storie e versi. Quest'anno si è classificato terzo al Premio Renato Giorgi organizzato da Le Voci della Luna.

giovedì 17 settembre 2009

JARIA CECIL SOWL

De Chirico






Water

Days drift by deadened,
Palms upturned facing the sky,
In my mind sleeping.



Acqua

Giorni attutiti alla deriva
Le palme rivolte al cielo
Nella mia mente dormienti

***

Sleep

My eyes glow dark blue,
The clouds shift towards dawn’s touch,
Flickering shadows.



Sonno

I miei occhi ardono di blu cupo
Si spostano le nubi verso il tocco dell’alba
Tremano le ombre

***


Shade

Resting on a tree,
Flowers breathing aromas,
Gently finding death.



Riparo

Riposo su un albero
Respiro in aromi di fiori
Dolce è trovare la morte

***

Afterlife

Hour glass figures,
Die with the birth of the sun,
Outlined in sunshine.


Dopovita

Sagome d’ora vetrosa
Morire con la nascita del sole
Nella sua luce il contorno

***


Soul

Gathering ideas,
Separating deaths from lives,
The world breaths again.



Anima

Raccogliere idee
Separare le morti dalle vite
Di nuovo respira il mondo


Jaria Cecil Sowl ©


Traduzione di Federica Nightingale






Biografia:


"La mia scrittura è ispirata dalla natura e da un orientamento contrario alle guerre che distruggono ogni tipo di speranza nel futuro. Il mio lavoro nasce da un bisogno di giocare con la parola e da un sè spirituale sempre presente nel mondo; sento,attraverso il mio scrivere, di esprimere parte del lato filosofico della vita e che questo possa,in cambio,modificare in qualche modo il mondo. Ho pubblicato in riviste come Literary Minded,Oarystis City of Desires e Covert Press, fra le altre. Sto lavorando ad una raccolta di poesie che avrà molto probabilmente il titolo "Echoes from the Graveyard", che correderò con mie opere artistiche selezionate. Ulteriori miei lavori possono essere visionati su Full of Crow, Outsiderwriters.ning e The Sphere.ning. Ho 30 anni, sono attivo politicamente e in movimenti artistici. Se desiderate contattarmi e scambiare con me pensieri e opinioni, potete scrivermi all'indirizzo e-mail abstractpictures@hotmail.com".


lunedì 14 settembre 2009

NEL DISSOLVERSI

Gustav Klimt, 1907




NEL DISSOLVERSI

Delle cose vuote abbiamo trascinato abbastanza
Le mute stagioni remano alla costa
Tra i contorni si riducono i verbi
Le parole avanzano modellando i toni

Restituire alla soddisfatta sorte un desiderio
resta il fine
Abbattere le crespate onde riottose
e spianare i solchi improvvisi

Al mattino gli occhi gonfi si spengono
e si ricalcano i sogni
Come le donne di Rossetti si smuove
la gota verso il labbro
E si torna a cercare nel tondo fra le imprese
da finire

Sul fare del giorno ormai resta la voce
Ferma
Di chi intende voltarsi ancora per non
dissolversi
(Tramano le stagioni dietro i vetri)

***

Lei attraversò la stanza con la leggerezza muliebre dell’ectoplasma. Aveva la testa avvolta in un copricapo color porpora e grande tanto quanto una tinozza di zinco da cortile. Ma su di esso emergevano come per magia foglie e fiori di tulle impalpabile dai quali pendeva con grazia una veletta che scendeva fin sulle spalle e che lei rimandava all’indietro lasciandola cadere, come una lunga sciarpa,sulla schiena.
Sandy la osservava senza fiatare mentre nervosamente rollava una sigaretta con il tabacco che usava fumare nelle circostanze confuse.
“Penso di non farcela a parlare ancora. Torno a casa, le ore sono passate e non c’è stato alcun progresso fra noi. Sta diventando buio -(ma era dentro se stessa che non c’era più luce, pensava) - e temo la strada fino a casa. I tuoi cani ululano da dieci minuti senza sosta e questo mi rende inquieta e più a disagio di quanto già non sia. Prenderò le mie cose domattina. Forse manderò qualcuno a ritirarle”. –
Detto questo spostò con un gesto secco la coda del suo vestito verde cupo staccandolo con un fruscio dalla tappezzeria damascata. La bocca ebbe un cedere verso il basso, come una virgola accennata di fretta e posata per circostanza e non per necessità. La casa era silenziosa, scossa unicamente dai latrati dei cani che incessanti si lamentavano nell’imbrunire.
“Non c’è niente che si possa ancora dire o fare, suppongo. La tua non è una scelta del momento né un momento di scelta…..” – esclamò Sandy impassibile posando la mano sinistra sul legno del tavolo da fumo e guardandola fermamente negli occhi. Detestava osservarla tremare di sdegno e paura, non tollerava di pensare a lei con qualsivoglia sfumatura d’emozione o attitudine all’azione. La guardava senza vederla e la batteva senza toccarla. La sua vita strizzata lo nauseava ma il petto generoso aveva su di lui ancora un effetto ipnotico fastidioso che tentava di scacciare, volgendo altrove lo sguardo. Eppure non era mai stata bella e mai aveva suscitato in lui impulsi di sana carnalità. Mentiva nel pensare ciò, sapendo di mentire.
“No, niente. Hai come sempre distrutto ogni buon proposito e volontà disinteressata. Resta pure qui a fumare, non disturbarti ad accompagnarmi. Conosco la strada”. Disse con un filo di voce ed uscì.
I suoi passi furono inghiottiti, giù per lo scalone di marmo. Il portone si aprì cigolando e sbattè nel richiudersi. I cani poco dopo smisero di guaire.
Sandy gettò il mozzicone nella brace del caminetto, si ravviò i capelli e tossì forte. Da sopra la sua testa si udì il frastuono di uno stormo di uccelli prendere il volo. Il tetto parve allora deserto. Fra le mani strinse un minuto pezzetto di carta con sopra scritto il nome della donna. E lo ingoiò dopo averlo masticato per bene. Non più un solo cane lamentoso, nè alcun uccello o forma materiale di lei esistevano nell’aria circostante. Sdraiatosi nella penombra rise soddisfatto. Lei si era dissolta masticata da cani, uccelli e denti umani. I pensieri, quelli, avrebbero fatto il resto.

venerdì 11 settembre 2009

GIORGIO MEDDA

Joseph Désiré Court -Woman lying on a divan, 1829







MACERANTI PENSIERI


E’ una finestra chiusa ,
che un sottile raggio di luce
apre, nella penombra,
come un bacio a labbra esangui, fredde,
il tuo bel viso,
come una lama di sole e cenere,
-volto doloroso-
il tuo bel viso,
nelle campagne assolate fuori,
gocce amare di luci ed ombre dentro,
è disegnata la tua storia.
Seduta sul letto raccatti
le tue ciocche sparse d’ inquieto disordine,
come un mazzo di sigarette interrotte
mozziconi come viscere,
figlie di una notte insonne.
Un silenzio ingombrante nella stanza chiusa,
densa di errori e rimpianti,
desideri rimossi,
chiusi nella tua metà oscura,
ripugnante,
impermeabile alla pioggia di pensieri
che sbattono sulle gote asciutte,
l’abraso fondo della barca,
guadando un fiume di vili pietre
legge i segni delle tue sconfitte,
precipitando come cenere
sui tuoi piedi nervosi, scalzi.
Sul tuo sguardo dimezzato,
un albero accecato da un fulmine
di pioggia estiva, inattesa,
rende il profumo salmastro della campagna,
affine ai tuoi macerati pensieri.



§




SOLITUDINI


Talmente avvezzo al fosco,
è il nebbioso passo,
che il respiro si dilegua,
e così il battito di tutto,
pulsa nell’ essere,
così lento e stanco.
Nelle pallide mani stupefatte,
sbattono le finestre sugli occhi,
all’improvviso chiarore,
franano le verità conseguite,
di laghi e fiumi sempre vuoti,
di case e porti sempre chiusi.
Cascate liquide di solide travi,
travolgono l’inaspettato senso,
di vacuità mentali e dolenti mete,
compagne accomodanti,
e accondiscendenti
in perfetta sintesi,
di solitudini conquistate,
a colpi di abbandono.



§



ESTATICA ILLUSIONE


Inutile, impetuoso vento,
pettini urlando il mare increspato,
violentando le nuvole,
ree soltanto di esistere.
Il vascello è in porto, muto,
con le sue tele spente,
pittore cieco, in esilio nella sua casa.
Non astio né collera regnano,
sul mio agitato cuore,
da cui mi allontanai inconsapevole,
per navigare gli infiniti mari del dolore.
Cuore che non ebbe voce,
nel decidere se entrare da quella porta,
o galleggiare nell’oblio,
agognata sintesi di cielo infinito.
Troppo lesta fuggisti, estasi,
per imprimere nell’anima,
soltanto un profumo, un colore,
che non fosse di rami bruciati d’illusione.
Tutto è fermo e calmo intorno,
troppo,
per non rendere la mia follia,
nitida come questa luna piena,
arrampicata sulle stelle,
così terribilmente bella,
così scioccamente vuota.


Giorgio Medda ©

Biografia:


Nato a Cagliari nel 1969, Giorgio Medda proviene da una famiglia medio - borghese cagliaritana da generazioni. Padre commerciante, madre casalinga, è lei, figlia di un maresciallo dei carabinieri, che gli trasmette la passione per la musica e la poesia. Sin da piccolissimo scriveva pensieri su un quaderno, recitandoli poi in un palco virtuale.
Timido e introverso, portato verso una malinconia crepuscolare, ama la sera e la notte, odia la luce e la folla.

giovedì 10 settembre 2009

INCANTATIONS IN BLUE







Vorrei ringraziare Lena Vanelslander, editor del blog letterario Incantations in blue,




per aver ospitato una mia poesia in lingua italiana. Grazie Lena e buon lavoro.


FEDERICA GALLI: La Signora degli Alberi







Prima delle vacanze estive, ho avuto modo di visitare la mostra di un'artista davvero splendida: una cinquantina di acqueforti di Federica Galli, come omaggio alla "inciditrice" italiana più conosciuta nel mondo, mancata nel mese di febbraio di quest'anno.


In oltre cinquant'anni di attività, le costanti dell'opera della Galli, che ha lavorato sempre "dal vero", gravitano intorno al paesaggio, sia quello naturale che quello modificato dall'uomo.


Da una parte il senso della natura, dall'altro quello della città, ma con un collegamento nel mondo dell'artista di vedere e trattare i soggetti che storicamente rimanda agli esempi dell'arte nordica.


Tra i temi preferiti di Federica Galli ci sono le vedute di Venezia e di Milano che ha colto nei suoi aspetti più romantici e ormai scomparsi, ma anche quelle di luoghi meno noti e riconoscibili della sua campagna lombarda.


Anche gli alberi sono da sempre presenti in maniera predominante nella sua ricerca espressiva, diventando protagonisti assoluti, a partire dalla seconda metà degli anni '80 quando intraprende un viaggio lungo tutta l'Italia a caccia di Alberi Monumentali, quasi sempre colossi centenari. Ritrae alberi monumentali in giro per l'Italia: dal Piemonte al Veneto, alla Toscana, all'Abruzzo, alla Sicilia.


Alcuni alberi prima di essere ritratti hanno dovuto attendere la neve, qualcun altro l'autunno, la primavera o l'estate ed altri, che pur non essendo monumentali, hanno aspettato invano.


Le prime lastre sono state iniziate in Piemonte, viaggiando in auto con il marito, portandosi sempre appresso lastre di varie dimensioni.Se l'albero le pareva interessante, sceglieva il punto in cui ritrarlo, sistemava lo sgabello, controllava la puntina e cominciava ad imprimere i segni sulla lastra della dimensione adatta. Il formato per Federica era importante.




mercoledì 9 settembre 2009

LOUISE BOGAN (Maine 1897- New York 1970)

Egon Schiele - Amanti (Lovers)





SUB CONTRA


Notes on the tuned frame of strings
Plucked or silenced under the hand
Whimper lightly to the ear,
Delicate and involute,
Like the mockery in a shell.
Lest the brain forget the thunder
The roused heart once made it hear,
Rising as that clamor fell,
Let there sound from music's root
One note rage can understand,
A fine noise of riven things.
Build there some thick chord of wonder;
Then for every passion's sake,
Beat upon it till it break.




Traduzione di Federica Nightingale


Note sulla cornice armonica di corde
pizzicate o zittite sotto la mano
lievi gemono all’orecchio,
delicate e involute,
come ironia in una conchiglia.
Nel timore d’una mente dimentica del tuono,
scosso il cuore lo fece risuonare, una volta,
così in crescendo che il clamore cadde,
a lasciare un suono proveniente dalla radice della musica.
Una sola nota può comprendere la furia,
un fragore sottile di cose spacccate.
Costruite là una spessa corda di meraviglia;
Poi, per amore di tutte le passioni,
battetela fino a spezzarla.

martedì 8 settembre 2009

MAURIZIO GIUDICE

Edmund Tarbell








1.


ho chiamato tutti tranne quel numero
è rimasto sulle punta delle dita imperfetto
l'ho composto cinque volte stasera era un modo per averla vicina
le costole le clavicole strappate ai tasti sono qui
in una parte infinitesimale delle mani



2.


Non è il mondo che taglio con i tasti dell’inchiostro.

Il mondo è nome, è matematica, è filosofia.

Il mondo è una colpa che ci precede.

Non è la tua pelle, non è la tua lingua che mordo ma il confine disarticolato delle cose.


3.


Il foglio che non ho saputo scrivere è stato usato per appuntare verdure e numeri di telefono.




Maurizio Giudice ©


Biografia:


Maurizio Giudice nasce a Catania nel 1979. Specializzatosi in Discipline Semiotiche ha vissuto a Bologna fino al termine degli studi. Scrive da quindici anni.

lunedì 7 settembre 2009

AUTUNNO 2009 - EMILY JANE BRONTE


Collage su tela di Federica Nightingale ©



Benritrovati. L'autunno è ormai alle porte anche se l'estate con i suoi ultimi colpi di coda ancora ci riscalda, tiepida. Almeno così è qui nel nord Italia, almeno così è qui sulle mie colline. Vi apro le porte della Stanza offrendovi una mia traduzione di due poesie di Emily Jane Bronte. Buona fine estate, buon autunno nella Stanza di Nightingale.






Spellbound


The night is darkening round me,
The wild winds coldly blow;
But a tyrant spell has bound me
And I cannot, cannot go.
The giant trees are bending
Their bare boughs weighed with snow.
And the storm is fast descending,
And yet I cannot go.
Clouds beyond clouds above me,
Wastes beyond wastes below;
But nothing drear can move me;
I will not, cannot go.

§

Incantesimo


La notte mi sta rabbuiando intorno,
i venti selvaggi soffiano gelidi;
Ma un incantesimo tiranno mi ha costretta
E non posso, non posso andare.

Gli alberi giganti curvano
i loro nudi rami gravi di neve.
E il temporale sta abbattendosi rapido,
e ancora non posso andare.

Nubi oltre e nubi su di me,
deserti oltre e deserti al di sotto;
ma nessuna tristezza può spostarmi.
Non andrò, non posso andare.


Love and friendship

Love is like the wild rose-briar,
Friendship like the holly-tree -
The holly is dark when the rose-briar blooms
But which will bloom most contantly?
The wild-rose briar is sweet in the spring,
Its summer blossoms scent the air;
Yet wait till winter comes again
And who wil call the wild-briar fair?
Then scorn the silly rose-wreath now
And deck thee with the holly's sheen,
That when December blights thy brow
He may still leave thy garland green.

§


Amore e amicizia


L’amore è come la rosa selvatica,
l’amicizia come l’agrifoglio,
l’agrifoglio è cupo quando la rosa è in fiore
Ma quale fiorirà più a lungo?
La rosa selvatica è dolce in primavera,
i suoi boccioli d’estate profumano l’aria;
Ma attendi il ritorno dell’inverno
E allora chi la chiamerà bella?
Ora guardati dalla ghirlanda di rose
e ornati del lucente agrifoglio,
chè quando dicembre appassirà il tuo volto
possa esso serbare ancora il tuo splendore


Traduzione dall'inglese di Federica Nightingale
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