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Traducendo Einsamkeit

STANZE DEL NORD

SCORRONO LE COSE CONTROVENTO di FEDERICA GALETTO

ODE FROM A NIGHTINGALE - ENGLISH POEMS

A LULLABYE ON MY SHOULDER di Federica Nightingale

EMILY DICKINSON

sabato 18 febbraio 2012

Carmen Foresta


Toshiyuki Enoki






Carmen Foresta ha la capacità di tenere il lettore sempre legato ai suoi versi; perchè le sue strofe, a volte anche brevi, hanno una profondità che attacca senza mai lasciare, una continuità di focalizzazione dell'attenzione di cui il lettore non può fare a meno. Ha un'idea della perfezione e del sacro che infonde in ogni visione interna ed esterna, raccontandosi man mano con puntigliosa dovizia. C'è sempre un elemento naturale che parla e si intromette nei suoi monologhi, anche quando teme quasi d'esser sentita urlare da una foglia, la luna o un ramo di more. La Natura è metafora, forza, costrutto e sussurro dei suoi vivi segni. Vedute nitide di reali panorami quotidiani si immergono, negli occhi che vedono bene le cose nascoste anche sotto la luce del sole. E il disgregarsi di ciò che ha quel destino, benedicendolo senza curiosità di domande inutili. Un'accettazione di stato, un evolvere umano e naturale che radicano nella vita. Bello il lessico, il fascino della sua personalissima semantica.

Federica Galetto






*
mi saresti selvatico, anche
distratto componendo il solito vento, l’onda
quasi fossi spicchio -o mappa

o corpo

a frastagliare i discorsi pesanti, come quelli che
trattengono le palme ai pungoli del letto, al passare dei giorni
eludendo la prima imperfezione, la coperta sghemba

una notte
aggiunta alla notte
che specula nel buio per appiccicarsi

urlo

*
urlo che disperde
le superfici piccole, senza la possibilità  di emettere
l’estensione di un ricordo -le varietà diverse
delle more

il poterti chiedere di aspettare assieme la neve
di essere il primo ad alternare i balli
perché non esca il sole

ché non resti solo
l’occhio impavido al sovrastare di un’idea
che senza sole si muore nel bicchiere
come mandorle

-amare

§

*
mi fissavi, nella stanza compressa
proiettata sulla piazzola
attraverso la luce della  finestra, così alterata
così prospettica da farsi
segno, tratteggiante
i quadri accesi
dai salti dei bambini

e noi, storti come detriti ad osservare
tutto quello spiccare

nuovo

*
addirittura nidi
capitolati in un soffocamento, detto altrimenti
amore
ad ogni giro una stretta, i lacci delle scarpe
i fiori alla Madonna, e prendersi per mano quando
il buio avanzava sbocciando a ciocche
la paura

*
e il tempo
a tacche, graffiava il gesso
fino a che l’impasto più friabile
diventava grigio, grigio tendente all’inferno
come la neve dei cigli
quando respira

piombo

*
si tracciavano segni a piè dei segni
aggrovigliate le orme sul corpo
quelle nudità di cenere
alle piante dei piedi
una secchezza simile al silenzio
fino all’esordio delle sue forme medesime
un aggirarsi di noncuranze
sempre più grevi

*
addirittura nodi
una caviglia stretta alla caviglia
capitolata in un soffocamento, detto  altrimenti
morte
con opacità  di occhi e di membrane
parti liquide a scendere tra i semplici sintomi
di una resurrezione


§







*
non raccontare, disse
non raccontare, guarda
e dimmi
solo quello che vedi



qui la nebbia è come cera
un angelo in rivolta
un’ala -la mia deformazione

calamita addormentata
sulle mosche di novembre

non una poesia
non un'ode gentile che mi affaccia
a ornarmi di fiammelle
ad ascoltare i santi
uniti come il soffio ai compleanni

resta il tempo di respirare il fondo
i graffi esatti, le notti
quando canta il gallo, prima

della neve

§

a dopo il nero.
col nero simpatizzo, coi baci altrettanto
baciami di nero con l'anima sullo sterrato
chiudo gli occhi per poco
tanto per sentire il freddo della tua prigione
confine infame, tempo nel tempo
azzurro sulle punte
solo profumo di campagna alta

§

*
c’è qualcosa di fortemente assente
un’angoscia senza comunioni
la pioggia, quasi un’ingerenza
a sostentare il sacrificio dei fiori
dove la piazza si fa dorso, vulcano
per un riverbero che esplode alla cintura.


*
piuttosto mi domando quale sia l’assenza
il seme primordiale
la polvere d’uomo che diventa donna
come cenere che elude la preghiera, la vita
così piccola di fronte al viaggio sommo
della disgregazione

benedirà domani?

il sole, quello vero, i ritrovamenti delle ossa
provvidenze
le falle di un tetto ché diventi sacro
le mani
che impasteranno il pane, come una beatitudine




Carmen Foresta




Il suo blog


http://incarnatomultiplo.blogspot.com/







giovedì 16 febbraio 2012

STANZE DEL NORD - la nuova silloge di Federica Galetto





Esce per i tipi di Onirica Edizioni la nuova silloge "Stanze del nord" di Federica Galetto.

“Stanze del nord” è il terzo libro di poesie di Federica Galetto. L’autrice, con questa raccolta poetica d’intimo respiro in cui il paesaggio naturale si fonde con quello interiore, ci guida attraverso una robusta trama dove la consapevolezza di altre primavere a venire scava nei pozzi di luce bianca del nord, sussurra comprensioni, rende voce ai silenzi, spezza catene liberando sogni. Il gelo come a custodire la forza, a delinearne le movenze. La voce di una donna che sa dire del freddo e dell’aspettativa del tepore, un viaggio nel tempo del riposo e delle scommesse; perché la vita giunge sempre ad una sua propria naturale piega, anche se per farlo vanno sciolti i nodi e liberate le ali.

Federica Galetto



Leggendo Stanze del nord siamo immediatamente trasportati all’interno di due perimetri concentrici, la casa e il paesaggio, quasi due trincee entro le quali lasciarsi andare ad una solitudine invitante, ad una clausura volutamente inviolabile che nello stesso tempo si rivela essere attesa di un prodigio e dove quel prodigio si rivela non essere altro che la scrittura (o la riscrittura di sé).

dalla prefazione di Vera D'Atri


"Stanze del nord" - Onirica Edizioni 2012


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