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Traducendo Einsamkeit

STANZE DEL NORD

SCORRONO LE COSE CONTROVENTO di FEDERICA GALETTO

ODE FROM A NIGHTINGALE - ENGLISH POEMS

A LULLABYE ON MY SHOULDER di Federica Nightingale

EMILY DICKINSON

giovedì 30 dicembre 2010

ERA LA FINE DI DICEMBRE







Era la fine di dicembre,la fine dell'anno che si preparava ad andarsene.
Non era poi così silente il suo andar via,si udivano infatti centinaia di voci sui gradini della scala che portava al piano di sopra; e dicevano che era ancora aperta una ferita o che le mani che non si toccavano più ancora non si riallacciavano.
Poi, l'acqua era fredda sulla stufa economica,la legna ancora mancava. Piangeva una donna,un bambino,le tende erano stinte e vecchie, i tappeti battuti da troppi battipanni languivano. Fra un cicaleccio e un ghermire di gioia non si spannavano i vetri, neanche per un minuto. Ma il sobbollire lento di un minestrone avvolgeva le mura,contente di respirare il cibo ghiotto di un pasto volatile come il fiato. Dai letti sortiva una colonna di pieghe morbide,così strette da non far passare il gelo. Non c'erano cose certe nè incerte in quel momento,tutto era sospeso in una incognita brillante prima, opaca poi. Il fuoco,trovato dopo aver rivoltato i resti sbriciolati in un angolo del ripostiglio, gongolava a più non posso e le densità amare di domani,ieri,oggi s'aggrovigliavano ai ritorni d'eco d'una speranza. Chè quella danzava sul portico e nel corridoio, e non si fermava mai, accorrendo per non perdersi fra le minuzie indesiderate, le piccole infastidite rogne domestiche. Il denaro era partito per tornare non si sa quando, e c'era un amante smarrito fuori alla porta che non si decideva a bussare. Mescolando la minestra pensavo che forse avrei potuto arrivare fino a primavera senza scorticarmi troppo le dita nel tentare di arrampicarmi ai sogni, e pensavo anche che le solite amarezze sarei riuscita ad annegarle nel brodo di carota e patate.In fondo erano povere cose ma fumanti,calde,ristoratrici. L'arte mi chiamava da dietro l'insonnolito giorno a finire.Il 31 dicembre era una data infame, non portava che gerle di pensieri e voci lamentose;eppure credevo davvero in quel pozzo d'insoluto e aspettavo il 1 gennaio con l'ansia d'un fanciullo. Ridevo fra me e me, che arrivasse l'anno nuovo, ne avrei fatto strati di coperte per stare bene, anche con cori e voci a gridare scontento. Avevo un piccolo dono nel grembo, un diamante che era la vita, all'ombra del solito dissacrante ghigno d'incerto,un futile slancio nel futuro che avrei vissuto senza gloria e senza lode, innamorata del solo istante.Uno solo.


Federica Galetto

lunedì 20 dicembre 2010

BUON NATALE









Cari lettori e amici, auguro a tutti voi un sereno Natale


Dear readers and friends, I wish you all a merry Christmas







E’ tempo di dondolio molle

ai picchi di freddo

E’ tempo d’oro argento e mirra

fra le coltri assonnate

E’ tempo di preghiere e doni

del cuore

E’ tempo

Sussurrare si può

nel lento procedere dell’Avvento






§







E’ il ritorno del passero

La cima gelata

O un cremisi velo da appendere

sui resti imbiancati

d’una notte inclemente

S’azzarda un corvo ai boschi

senza trovare bacche golose

dietro i postumi incalliti

d’un inverno in assedio

Posano ancora discinte

le nubi

rombanti coperte

in assoluto rigore

che pendono tetre

Sui colli, i misteri




Nightingale

domenica 19 dicembre 2010

giovedì 16 dicembre 2010

AXEL





Ramon Casas






A Sfidare L’Ultimo Ignoto.


(Nel ventre di gesso)

Estremi e silenziosi richiami,
vagiti involuti nelle crome dell’acqua
fra le dita cremisi di petali orfani
di crisantemi rarefatti, inginocchiati
al pianto del sole nascosto nel buio.

(è suicida il tormento)

Mulini a vento le bocche del cuore,
a macinare parole in fragili grida
d’affogato respiro, nell’ingiuria d’agosto,
dalla falciata identità da dodici lune,
con mari e crateri che sembrano occhi,
sempre più vuoti, sempre più neri.

(in attesa di quiete)

Incollo i miei giorni alle tempeste,
all’ancora d’ombra i sogni senz’ossa,
dove tacciono pallide, sirene di vetro.




Accolgo L’Orizzonte fra le Piume di Uno Sguardo Instabile.


(Non decido farfalle d’avorio)

Sfoglio le mie arterie,
nel limbo impreciso
d’un abbraccio non retto,
alla croce di ferro roSSo
che spinosa nega e annega
labbra antiche nell’alibi dell’oggi,
verso un cuore segregato.

(nel silenzio d’ebano)

Sono corvi i sogni neri
a circondare la mia follia,
tra le ore masticate piano
sulle pagine sfiorite del diniego,
sospeso sull’inferno che a ritroso
divora l’estasi e scolpisce il pianto,
con lame di carbonio e rose finte.

(spalmo gli azzurri)

Le mani buche
non trattengono più il mare,
solo ansie di fantasmi.

(tra i lamenti delle sirene)







La Luce Recita una Parte Minima.


(Non esiste geometria nel buio)

Apri gli occhi, Ofelia,
nel liquore che ti avvolge
tra i riflessi di stelle opache,
è colma di fiori la tua mano,
per le ore appassite in fretta.
Colori di parole mute le labbra strette,
dipingi di luna la tua pelle
a dimenticare il sole.
La bellezza raggiunge l'apice
e subito declina.

(ogni luogo è il centro dell'universo)

Torri di fantasmi e sogni,
corone d'oro vermiglio,
languori di carezze illuse.
Sorridi, al destino in maschera.

(si disperdono nel vuoto le comete)

La vita è fragile,
la morte è pietra e ferro,
l'amore un profumo distratto.

(Il dolore è AsImMEtRicO)




Forse la Neve, forse il Cielo.


(Cercavo l'oro del Nord)

Ero certo di trovarmi qui,
ombra della mia ombra,
al punto zero del tempo caduto,
nell'ultimo spazio concesso
alla polvere di spente comete,
lasciando al vento le carezze
e uno sguardo alla Luna.

(senza lasciare traccia)

Sogni e menzogne allo specchio
nelle tarde illusioni affondate
tra nude ninfee senza fiori,
incollate all'acqua nera.

(sul muschio, fra i licheni)

Un altro ha preso il mio posto,
i miei occhi e le parole.
Il mio nome dimenticato,
ora, è Nessuno.

(ascolto il pianto delle volpi)




Lamenti di Rubino, tra le Quinte della Prima.


Invade sottopelle il fremito
di fiamme azzurre e ghiaccio,
a confondere i miei sensi
in ipotesi d’oriente.

Calligrafie di china rossa
i graffi ad arte ricercati
su mappe nude, assetate
di notturni inchiostri.

A leccare sguardi al cielo,
la brama incolla bocche
e teatri d’estasi, nel rogo
d’anime svitate da corpi
in sulfurea ebollizione,
lasciando stemmi d’orme
in cera fusa di passione.

La condanna è sterile,
la Luna danza senza veli.




Il Gioco delle Nuvole ha la Voce del Tuono


Invano i muscoli tesi,
gli occhi nella colla del buio,
la schiena al limite d’arco,
mani spente da gemiti di ferro,
mentre scalcia il dolore
ululando al legno la sua ombra.

Invano lacrima il sangue,
nell'eco di un urlo.
Mi urli contro.
Dolci parole uncinate.
Mi ami e mi odi.
Vorrei aiutarti e non posso.
Potrei aiutarti e non voglio.
Ti osservo.

Tra essere e non essere
in bilico l’assenza di un destino.
Agisci e non pensi.
Pensi senza agire.
Tenti.
Sogni.
Sulla chaise longue
dello Scorpione,
Esiti e Vaneggi.
Raccogli a piene mani
schegge di lune cave.
Germogli sulla lingua
il sole del nostro vuoto
mentre scandisci il possesso crudo,
nel mio nome di pietra

Un raggio di luce infeltrito
bussa inutile,
fra le conchiglie.

Ti osservo, mentre vivi la tua fine
Senza fine.
Sepolto fra le stelle.
Ancora mi chiami.
Invano.
Sono solo un Osservatore.

La speranza apre le ali al vento,
ma il collare spinato
ha catene di sale,
per inchiodarla all'inferno
di numeri silenti.

Soffri da solo,
col cuore taciuto,
e siimi grato,
perché io sono qui,
che ti osservo.

Sono dure
e grattano il vuoto,
hanno sapore d'ambra,
le tue vene nude,
è il significato che svanisce,
nel rombo del tuono,
sulla coda di aquiloni zoppi
che gridano
alla finestra del mio cielo.



Axel©

lunedì 13 dicembre 2010

VERA D'ATRI - UNA POESIA DI NATALE










La famiglia al completo rallentava l'aria.
E il rosso dei fiori
per un istante varcò la soglia dell'autunno
portandosi dietro le ferite dei giardini
e il malanno della reclusione.

Così non potei far finta di niente
quando l'ombra color prugna della casa
si dliatò in cortesia d'abbracci
e l'alone delle candele pervase la tavola
d'un meravigliato lucore di teatro

e quando, nella mezzanotte ubriaca,
si aprirono i doni e nessuno ebbe la sua grazia
e il suo perdono, ma solo borse, scarpe, velluti

e quando tutti alzarono le coppe
per dirsi cose fracassate e scambiarsi
baci di fanghiglia rossa e abbrutite moine.

No, non potei persuadermi del Natale.

Da tempo perciò di questo giorno io preferisco restare
nel tuo letto a cogliere l'inverno di sorpresa
e con tutte le scarpe andarmene all'inferno,
intatta nei miei anni senza festa


Vera D'Atri©

giovedì 9 dicembre 2010

NATURA MORTA CON CAROTE

Collana Snáthaid Mhór - poesia irlandese contemporanea
Edizioni Kolibris
PAT BORAN, Natura morta con carote. Poesie scelte 1990-2007
Traduzione di Chiara De Luca
ISBN 978-88-96263-37-2
pp. 484, € 20,00

Forse è all’esempio di Miroslav Holub, scienziato e poeta al contempo, che Pat Boran deve una delle sue grandi acquisizioni—una oggettività che si potrebbe definire scientifica; una abilità di mantenere un determinato distacco dal suo oggetto, di distanziare la sua poetica dall’Io empirico, per conseguire una prospettiva più chiara sul mondo. Eppure il suo distacco non è in alcun modo dogmatico; il calore tonale e l’empatia emotiva non mancano mai laddove risultino appropriati: nella poesia d’amore o nell’elegia. A parte l’attitudine scientifica che Pat Boran spesso adotta nei confronti della realtà, la sua opera riflette un acuto interesse nei confronti del pensiero scientifico stesso. Tra i nomi citati nei suoi libri, troviamo J.B.S. Haldane, Niels Bohr e Albert Einstein. Ci sono “Appunti per un film sulla vita di Galileo Galilei”; una eclissi di luna osservata attraverso la lente poetica; e “Tempo di coricarsi nella casa dello scienziato” suggerisce che i semplici fatti del dato scientifico gettino un incantesimo simile a una storia (“Dicci i nomi delle lune di Giove, / le valenze degli atomi da 1 a 103”). Nella pregnante “Waving”, la rievocazione dell’infanzia confluisce inaspettatamente in una epifania scientifica nel preciso istante in cui una nota ridondante avrebbe potuto costituire un pericolo.
Mentre sperimenta nel suo laboratorio linguistico, Pat Boran – sfidando il rischio delle locuzioni frammentarie – è più spesso un poeta dell’implicazione che dell’esplicazione.
Il lettore si distanzia dalla testimonianza presentata ogni volta che lo scrittore muove verso il click finale della chiusa narrativa. Fin dall’inizio, Pat Boran esce vittorioso da quella che è una delle sfide più dure in poesia: capire quando una poesia sia da considerarsi finita e debba perciò essere lasciata sola. Non esagera mai né mai indugia più del dovuto; le sue poesie sono notevoli sia per la loro risonanza che per il loro ritegno. In senso molto lato, i testi di Pat Boran possono essere fatti rientrare in due categorie principali: poesie che delineano l’umana lotta per dare un senso alla nostra esistenza su un misterioso pianeta a galla – forse addirittura alla deriva – nello spazio; e poesie di modalità più diretta, in cui le persone vengono ricordate in vita, elogiate in morte o celebrate in amore.

Dalla introduzione di Dennis O’Driscoll






Pat Boran è direttore editoriale di Dedalus Press, una delle case editrici irlandesi più qualificate. Tra le sue più recenti pubblicazioni ricordiamo New Selected Poems (1999, 2005). Ha curato Wingspan: A Dedalus Sampler, è stato redattore di “Poetry Ireland Review” e presentatore di “The Poetry Programme” di RTÉ Radio.



da L’orologio scarico (1990)


For a Beekeeper


You rise in the morning, the residue
of dream-honey on your eyelids.
Mornings you are not at your best, but then
facing breakfast you remember how
the wings of your bees beat how many
times a second? how flowers are identified
by a sense more akin to taste than smell
or sight ... You see the queen,
big like a fruit, the precise
network of the honeycomb, the flowers
like excited shopkeepers, opening
their shutters to the sun’s gold coin.

There is barely time to shine your shoe
when, already at the window, the first drone
beckons you to court.






Per un apicoltore


Ti alzi al mattino, con un residuo
di miele di sogno sulle palpebre.
Al mattino non sei al meglio, ma poi
davanti alla colazione ti ricordi come
battano le ali delle tue api quante
volte al secondo? Come i fiori li distingua
un senso più simile al gusto che all’olfatto
o alla vista... Vedi la regina
grande come un frutto, la precisa
rete del favo, i fiori
come negozianti eccitati, che aprono
le saracinesche alla moneta d’oro del sole.

C’è appena il tempo di lucidarti le scarpe
quando, già alla finestra, il primo ronzìo
ti chiama in cortile.





His First Confession


Had she come to me with crimes
I’d heard before, or even
crimes unknown (for instance

computer fraud—a novelty
yet to reach this parish),
I would gladly have exchanged

the most insignificant
of penances—a running
genuflexion in the aisle

But today the grille and darkness
seemed more for my protection
than presupposed Gothic

decoration. Nine years old,
in finery of First Confession:
I hate you, Father.

The stone more silent
than it’s ever been, daylight
flooding through the doorway.





La sua prima confessione


Se fosse venuta da me con dei crimini
che avevo già sentito, o anche
sconosciuti (per esempio

frode informatica – una novità
ancora per questa parrocchia),
avrei volentieri barattato

la più insignificante
delle penitenze – una genuflessione
in corsa nella navata...

Ma oggi la grata e il buio
sembravano fatti più per proteggermi
che per fungere da gotica

decorazione. A nove anni,
nell’abito elegante della Prima Confessione:
Ti odio, Padre.

La pietra più silenziosa
di quanto non sia mai stata, la luce del giorno
che straripava dall’entrata.




When You are Moving into a New House


When you are moving into a new house
be slow to write the address in your address books,
because the ghosts who are named there
are constantly seeking new homes,
like fresher students in rainsteamed phone booths.

So by the time you arrive with your books
and frying pan, these ghosts are already
familiar with that easy chair, have found
slow, slow creaks in the floorboards,
are camped on the dream shores of that virgin bed.





Quando stai per traslocare in una nuova casa


Quando stai per traslocare in una nuova casa
trascrivi lentamente l’indirizzo in rubrica,
perché gli spettri che vi sono nominati
sono sempre alla ricerca di nuove case,
come matricole in cabine telefoniche striate di pioggia.

Così prima che tu arrivi coi tuoi libri
e un tegame, gli spettri sono già
intimi con quella poltrona, hanno trovato
lenti, lenti scricchiolii nelle assi del pavimento,
sono accampati sulle rive di sogno di quel letto vergine.







Memorandum


Many earths away is where I was
yesterday, last year, is where today
I am headed. To find myself

I must open the doors and windows,
front and back, like a schoolchild
look both ways before the road.

For always I am on this string
of being—unformed—somewhere
between history and promise.






Memorandum


A molte terre di distanza è dove ero
ieri, l’anno scorso, è dove oggi
sono diretto. Per trovare me stesso

devo aprire porte e finestre,
di fronte e sul retro, come uno scolaro
guardare su entrambi i lati della strada.

Perché da sempre sono su questa corda
dell’essere–incompleto–da qualche parte
tra storia e promessa.





Modus Vivendi


Forget the future, your death,
the surprise on your face. Forget
everything you’ll learn, too late.
Arrest the thought. What could compare
with the selflessness of plants
that mark the spot
where you will lie? If such
unthinking things can justify
the presence of the sun and planets
more completely than can you
(with all your grave considerations),
why think at all? Why squander
the irreplaceable energies? Abandon,
like some evolutionary cast-off,
this thing that brings us closest
to extinction. Forget the evidence,
the argument. Close your ears
to all debate. Forget I ever said a word—
forget this poem.






Modus Vivendi


Dimentica il futuro, la tua morte,
la sorpresa sul tuo viso. Dimentica
tutto quel che imparerai, troppo tardi.
Arresta il pensiero. Cosa mai eguaglia
l’indifferenza delle piante
che segnano il punto
in cui giacerai? Se queste
cose non pensanti possono giustificare
la presenza del sole e dei pianeti
più pienamente di quanto tu non possa
(con tutte le tue gravi considerazioni),
perché mai pensare? Perché sprecare
insostituibili energie? Abbandona,
come una spoliazione evolutiva,
questa cosa che ci porta tanto vicino
all’estinzione. Dimentica l’evidenza,
l’argomento. Chiudi le orecchie a tutto
il dibattito. Dimentica ch’io abbia mai fiatato—
dimentica questa poesia.





Safekeeping


In the dream-land of a child
I met a man who would never die,
to whom could be given precious things.

But the map was lost, or the child was wrong.
The eternal man was never found.
Hard wind is the only wind that sings.

I leave my gifts in this snow for you
where I lose myself, trying to be true,
following footprints—probably my own.




Custodia


Nella terra di sogno di un bimbo
incontrai un uomo che mai sarebbe morto,
cui potevi affidare cose preziose.

Ma la mappa era perduta, o il bimbo sbagliava.
L’uomo eterno non si trovò mai.
Il solo vento che canta è il vento forte.

Lascio i miei doni per te in questa neve
dove ho perduto me stesso, tentando di essere vero,
seguendo impronte—probabilmente le mie.






Dark Song


Here we are in the park
with darkness crouched behind trees
and daylight dissolving over the city.
Something unbelievable is happening.

All day this ghost of knowledge
has whispered in my ear, all day
the very cracks in the footpath
seem significant. Something unbelievable

The meteor of your cigarette tip
swoops close to earth, hearth
of loving in a cold universe.
The playground swings grind their teeth

and pause. What else is there to say?
It is in our silences now, as in our voices,
that something unbelievable.
We are growing older.





Canto oscuro


Eccoci nel parco
con il buio acquattato dietro gli alberi
e la luce del giorno in dissolvenza sulla città.
Qualcosa d’incredibile sta avvenendo.

Tutto il giorno questo fantasma della conoscenza
mi ha sussurrato all’orecchio, tutto il giorno
i numerosi schianti sul sentiero
sembrano avere un senso. Qualcosa d’incredibile

la meteora della punta della tua sigaretta
piomba vicino alla terra, focolare
d’amore in un universo freddo.
Le altalene del cortile digrignano i denti

e si fermano. Che altro c’è da dire?
È nei nostri silenzi ora, come nelle nostre voci,
quel qualcosa d’incredibile.
Stiamo invecchiando.




For S with AIDS


When a star dies, my love, my man,
when it gets so tired, burnt out, so heavy,
it starts to fall back into itself,
it starts to grow in density, shrink
until, at last, there comes a time
when light escapes from it no more,
when time means nothing any more,
when science, naming and love itself
wring their hands at the hospital door.
Nothingness, absence, passing, loss ...
our secret, sleeping partners, S.


2.

Ouroboros, the mythological serpent
consuming itself, renewing itself,
the snake of Eden, snake of the tree,
the serpent coiled round the staff of being
still found on local chemists’ signs,
like the one where you binged on vitamins—
what was it, three years back?—all set
to fight what you were sure was ‘flu,
then toothache, backache, headache, gout...
Now your name cannot be spoken here
in these half-lit corridors leading nowhere
but I can hear your playful hiss,
snake brother, snake lover, S.

3.

Close up, the red-shift of apple skin
is a microcosm of the universe,
at once unbounded and finite.
See, what they did not tell us, S,
was that in Eden there were many trees
and many apples on their boughs,
on the skin of each whole galaxies,
in the core a constellation of seeds.
Unpicked the apple would still have fallen
to return to death and be born again
in whole new trees, in each apple of which
new seeds, new orchards, whole new Edens.

PS—And S, the snake’s sloughed skin
is what he was, or will be, not what he is.





Per S malato di AIDS


Quando una stella muore, mio amore, mio uomo,
quando è ormai così stanca, esaurita, pesante,
comincia a ricadere in se stessa,
comincia a crescere in densità, a ritrarsi,
finché, infine, arriva un momento
in cui la luce non fugge più da lei,
quando il tempo non significa più nulla,
quando scienza, nominazione e l’amore stesso
si torcono le mani sulla porta dell’ospedale.
Nullità, assenza, passaggio, perdita...
i compagni segreti con cui dormiamo, S.


2.

Uroboro, il serpente mitologico
che si consuma, che si rinnova,
il serpente dell’Eden, serpente dell’albero,
il serpente arrotolato attorno al bastone dell’essere
che ancora si trova sulle insegne delle farmacie locali,
come quella dove t’imbottivi di vitamine—
cos’era, tre anni fa?—tutto pronto
a combattere quella che eri sicuro fosse influenza,
poi mal di denti, mal di schiena, mal di testa, gotta...
Adesso il tuo nome qui non si può pronunciare
in questi corridoi in penombra che non portano
da nessuna parte, ma sento il tuo sibilo giocoso,
fratello serpente, serpente amante, S.

3.

Da vicino il rosso mutare della pelle di mela
è un microcosmo dell’universo
sconfinato e finito al contempo.
Vedi, quel che non ci dissero, S,
è che nell’Eden c’erano molti alberi
e molte mele sui rami,
sulla buccia di ciascuna una galassia intera,
nel torsolo una costellazione di semi.
Non colta la mela doveva ancora cadere
per tornare alla morte e nascere di nuovo
in nuovi alberi intatti, in ogni mela da cui
nuovi semi, nuovi frutteti, nuovi Eden intatti.

PS—Ed S, la pelle dismessa del serpente
è quel che era, o sarà, non quel che è.

giovedì 2 dicembre 2010

COLETTE NYS-MAZURE










IL GRIDO DELL’ALBA
Colette Nys-Mazure

Etica del nord

In questi paesaggi senza altezza, dove lo sguardo salendo non incontra che nuvole a sostenerlo, non era forse un grido di campanile tra i pioppi, che non è costretto a cercare in se stesso l’altezza?

Quando tace il canticchiare del sole contro le finestre – per altri cieli il suo canto pieno – e s’indorano le fronde, è tempo di accendere le lampade, attizzare i fuochi, sprofondare di nuovo in se stessi alla ricerca di una via più rigorosa.

L’inverno sarà troppo dolce per aguzzarci i sensi: nelle piogge, nel nevischio, nelle nevi fugaci, si estenuerà la nostra sete di austerità. Dovremo resistere nel grigiore senza gloria del pantano e ancora resistere; in attesa di una improbabile primavera.

Che spunterà all’improvviso sotto le minuscole pozze di violette, nel bel mezzo della danza dei giacinti selvaggi, sotto le cascate dei frutteti in fiore, nei profumi opprimenti di narcisi e lillà.

Paesi temperati, paesi piatti privi di certezze, senza passioni, se non quelle oscure e sempre trattenute. Paesi di lente tenerezze e slanci discreti.

Regioni d’ombre fluide, agitati da venti che giocano nelle orme, faggi purpurei, vasti castagni; regioni d’acque lente, di colline basse. Territori interiori consegnati ai ferventi: agli attenti del piccolo mattino, ai pazienti del mezzogiorno, ai ritardatari del giorno. Terre di fedeli.
Che nulla muoia senza aver amato

Per entrare con tenerezza, tracciare un cerchio d’oblio, silenzio, solitudine; insediarsi nel presente più nudo, più folto; ancorarsi nell’istante, svegliarsi allo zampillo delle fami. Allora si dispiega la via immediata, che scava e s’invola, si dipana e si annoda.

Nel cavo della mano gira il ciottolo di una spalla, di un ginocchio; nella conca di un ventre tremola la spuma di una capigliatura; sulla spiaggia del dorso corre il soffio di una lunga carezza e alla bocca si apre una bocca straniera, familiare, l’urgenza del morso.

Portare in sé il miele e il fuoco, un riflesso di sole riposto fino alla prossima stagione. Senza viatico, chi potrebbe avanzare in terra ostile, nella desolazione del deserto?


http://www.kolibrisbookshop.eu/store/?p=productMore&iProduct=40

IMPRONTE SULL'ACQUA





Testi: Francesco Marotta, Performer: Francesca Catellani, Voce e regia: Enzo Campi




lunedì 29 novembre 2010

ORIGAMI SPEZZATO di Federica Galetto - Videopoesia




BRANO MUSICALE DI JOHANN SEBASTIAN BACH, SUITE N. 6 IN RE MAGGIORE PER VIOLONCELLO SOLO,PRELUDIO, ESEGUITA DAL MAESTRO CLAUDIO RONCO.


ORIGAMI SPEZZATO


Ancora mi preme distinguermi
dall’ostilità d’un origami spezzato.
Che il lauto pasto del sentire
s’afflosci a lato,
restino gli angoli buttati all’indietro
come criniere al vento,
se non possono le tenere carte di riso
infrangere un lieve destino
non certo l’anima frantumata dal
lungo collo mai potrà affiancarti,
se tu non mi parli,
fra i resti del silenzio
di quando giaceva al suolo
un sasso,
coperto di rose al
petalo smosso.


Federica Galetto dalla Raccolta "Assorta la corda vira"

domenica 21 novembre 2010

VENTO D'INVERNO






Se a mettere il fiato nel tuo bavero alto stento
Allora, cosa mai reciderò questa volta
se non l’inedia di un salto fra le messi
di una gloria concepita e mai nata

Non me ne farò nulla delle brume acquose
dei tuoi occhi blu di Scozia

se a me

senza sciarpa e senza scialle
non provvederai

come per le bambine e le figlie adorate
le altisonanti madri del sacrificio

Ausculto sprimacciando il passato
le idee in voga allora e oggi
senza che alcun rimescolio s’infili
Dolente di incerta provenienza quel
borbottio breve dalle tue labbra strette
mi spinge lontano dal calore
e mi strema come neve sulle mani

Brucia attaccato ai sogni

Saprei dire bene cosa è nel mio pensiero
saprei attendere preparando minestrine
ma tu vuoi costruire cattedrali senza
toglierti il cappotto
e vuoi remare in mari ignoti senza
mai voltarti ad aspettarmi

non prendermi le spalle per cullarmi
non rendermi fragile di fragile creta
per modellarmi in carta e carne ardente

Le spinte del giorno s’accasciano alle gote
dietro vetri neri nottetempo
le sequoie che nascondo nel ventre oscillano
gracidano le rane oltre lo stagno

La rosa è intatta

Senza perdita di colori e petali
giace ancora con spine sul mio collo

Le bende le ho disfatte come vento d’inverno
fra le siepi
Le ho deposte sul cuore come vento d’inverno
sui pendii

Le regole sono poche e misere
eppure neanche l’aorta che pulsa le sgrana

Chiare
Placide
Indispensabili

Come vento d’inverno t’ammanto d’oblio
Se mai vorrai obliarmi


Federica Galetto ©

martedì 16 novembre 2010

JANE MCKIE, Morocco Rococo - Poesia Scozzese Contemporanea








Collana Guillemot -Poesia scozzese contemporanea
JANE MCKIE, Morocco Rococo
Presentazione e traduzione di Chiara De Luca
ISBN 978-88-96263-36-5
pp. 114, € 12,00


“I disadattati non possono scrivere poesie all’interno, / non possono sedere tranquilli / su divani beige floreali, con le ginocchia unite.” Forse è per questo che la poetessa si muove inquieta, cambiando d’abito a ogni angolo, si getta fuori in ogni direzione, felicemente disadattata, si (ri)adatta alla forma delle cose o più spesso piega le cose ad assumere la forma dell’umano, per arare “l’anima come pane in cerca di nutrimento”, per cercare cioè nella sostanza del discorso, corpo del pane, l’origine del seme della parola gettata nel solco dell’ascolto. Come un granchio, “così goffa, così terribilmente maldestra”, la McKie si strappa di dosso i begli abiti sgargianti di Venere, spogliando il corpo della lingua, per indossare gli stracci vissuti di Atena “principessa nubile in armatura” (d’immagini e parole), costantemente in lotta contro l’immobilità, contro la forzata staticità di un linguaggio che indossiamo come un abito fuori misura. Noi seguiamo la poetessa in questa spoliazione, sotto il peso di immagini concretissime e taglienti. O che solo così sembrano, per poi crollarci invece addosso e svaporare, rivelando la sorridente astuzia della poesia che si fa vita, che appare improvvisa, per poi nascondersi dietro il primo superficiale velo del reale, sorretto dai pali del “cancello della fantasia”. Dove la visione indossa altra pelle, si modella in altre forme, per ricomparire ancora agli occhi sorpresi del lettore, che ancora non ha terminato di decodificare il quadro precedente. “Donna campana”, donna coi pugni stretti che canta alto, affermando la sua presenza ben oltre il desiderio ormai sgozzato di un tardivo dono di salvezza, ferita dal sale, e da esso poi protetta e indurita, soffocata dalle onde e da esse poi levigata e restituita. Per unirsi al coro delle nuvole che “abbaiano sui monti dell’Atlante”, con il cuore vulcano e il vulcano fucina d’altra vita, altro fuoco, per chi vuole “cavalcare, non riposare”, per chi si disfa in atomi portati dal vento harmattan “in un gioco di quattro venti e sabbia”, di dissoluzione e ricomposizione in qualcosa di più lieve, all’apparenza, che si posa aereo sulle cose e ce le ripropone, trasfigurate, reinterpretate, moltiplicate nell’intersezione di piani del sogno. La poetessa è “arpia che beve con avidità / da orme di zoccoli colme d’acqua”, sugge cioè vita da ogni traccia di vita che si fa direzione, nuovo inizio per fuggire il terrore “l’ombra, / la marionetta, la furtiva bête noir.” Per fuggire cioè se stessi e ritrovarsi al di fuori in nuova possibilità, risorti nell’ovunque e nell’altrove.

Chiara De Luca


Montgomeryshire, Scale Six Inches to One Mile

Surveyed 3882-84

You could wrap yourself in a map like this one –
wrap yourself naked as if it were a cloak,
roll on the ground, revel in the caress
of stressed paper stained lurid green
by the crush of fresh grass. Your knee
could rest on a tumulus, your breast on
Llanwyddelan, your tummy on Tregynon,
your pubic bone on Aberhafesp. The rifle range
above Penarth Wood could make a fine collar,
and, when you shift your body’s contour
around the creases of the map, Bron-Hafod Dingle
above Gregynog could become the perfect omphalos.





Montgomeryshire, Scala 1 cm: 1 km

Sorvegliato 3882-84

Potresti avvolgerti in una mappa come questa –
avvolgerti nudo come fosse un cappotto,
rotolare sul terreno, crogiolarti nella carezza
di carta stropicciata striata di verde sgargiante
dal frantumarsi di verde fresco. Il tuo ginocchio
potrebbe posare su un tumulo, il tuo torace su
Llanwyddelan, la tua pancia su Tregynon,
il tuo osso pubico su Aberhafesp. Il poligono
sopra Penarth Wood potrebbe formare un collare sottile,
e, quando sposti il contorno del tuo corpo
attorno alle pieghe della mappa, Bron-Hafod Dingle sopra
Gregynog potrebbe diventare il perfetto omphalos.





The Bosham Bell

Ye bell of Bosham, ring for me
For as ye ring, I ring wi’ ye.

I am ringing.
Ringing despite the hard salt of the marsh,
breasts tarnished, belly full of brine.

A womanly bell, I sit beyond the low tide-line
with bunched fists, unwilling to be rescued.
My predicament

is centuries old.
I slipped from the boat of invading Danes
into the harbour race – too deep to dredge

so here I remain. My call is plaintive, you
answer in kind. The tedium of repetition
has rusted my tongue

and now each peal is softer than the last.
Diminished conversation might pain you.
I look forward to letting it go.





La campana di Bosham*

Tu campana di Bosham, suona per me
Perché se tu suoni, io suono con te.

Sto suonando.
Suonando nonostante il sale duro della palude,
coi seni macchiati, il ventre colmo di salamoia.

Donna campana, io siedo oltre la linea di bassa marea
coi pugni stretti, non voglio essere salvata.
Le mie sventure

sono vecchie di secoli.
Scivolai dalla nave dei danesi invasori
nella corrente del porto – troppo a fondo per ripescarmi

così resto qui. Il mio richiamo è lugubre, tu
rispondi gentile. La noia della ripetizione
mi ha arrugginito la lingua

e ogni rintocco è adesso più fioco dell’ultimo.
Un conversare menomato potrebbe dolerti.
Non vedo l’ora di lasciar perdere.

* Bosham: piccolo villaggio costiero nel Distretto di Chichester (Sussex Occidentale).





Inside the Bottle


My masts abrade the slickest skies.
They are tinder thin and crooked, as if
the prevailing wind was westerly.

Tiny gunwales are locked in place
by a hard carapace of varnish. My ribs
refract myopically through bottle glass.

I sailed here like Odysseus to Calypso.
Escape is futile when the strings of rigging
tangle to fashion a matchstick cork.

But who made me? That’s the trick:
to identify whose hand pulled taught
the connecting thread to elevate heaven.





Dentro la bottiglia


Le mie antenne abradono i più lisci dei cieli.
Sono fini come ami e storte, come se
il vento dominante soffiasse verso Ovest.

Minuscole falchette fissate
da un duro carapace di vernice. Le mie costole
rifrangono miopi attraverso il vetro della bottiglia.

Salpai qui come Odisseo verso Calipso.
La fuga è futile quando i fili del sartiame
si aggrovigliano nel sughero di un fiammifero.

Ma chi mi creò? : È questo il trucco:
identificare di chi fu la mano tesa che indicò
il filo di connessione per elevare il cielo.





Crabwise


I fear you won’t even
acknowledge me
when towards you I scuttle
crabwise: jointed limbs, knock-knees,
so gauche, so terribly unsubtle.

I am, after all, ungainly.
My ribs on the outside,
I am a candelabrum
that stabs when you grab it
to light your way to the bedroom.

If I wasn’t this thorny,
I would declare my love.
Instead, I muffle the click-clack
of knitting-needle thighs, turn
my moon-white scalloped back.

No soft goddess,
no sweep of Botticelli cloth,
no seductive undulating:
more Athena than Venus,
I’m a spinster princess in armour-plating.





Come un granchio


Temo che mai
mi riconoscerai
quando mi precipito verso di te
come un granchio: gambe strette, ginocchia unite,
così goffa, così terribilmente maldestra.

Sono, nel complesso, sgraziata.
Ho costole sporgenti,
sono un candelabro
che taglia quando lo afferri
per far luce fino alla stanza da letto.

Se non fossi così spinosa,
ti dichiarerei il mio amore.
Invece, smorzo il click-clack
dei ferri da lana delle cosce, giro
la schiena smerlata bianco luna.

Non una tenera dea,
non uno strascico botticelliano
né una seducente ondulazione:
più Atena che Venere,
sono una principessa nubile in armatura.





Gazebo


The frame of your gazebo creaks
like debilitated cartilage.

I peer in, my face pressed beside
overgrown foliage up against a pane.

Peek-a-boo.

You are absent from your Wendy-house
of whispering dead wood today.

I still see your silhouette, cardboard-
cut-out marionette, dressed in black

granny boots.

The shape of you is a permanent hole
in the world, preserved like a book mark

in your place, on your favourite page.
Of course I will come tomorrow to play

hide-and-seek

and the next day and the next day.
Here I am, poking through floorboards,

a skinny winter grass. Here I am,
counting forwards, hands over eyes,
pretending not to look.





Gazebo


La cornice del tuo gazebo scricchiola
come una cartilagine decrepita.

Sbircio dentro, il mio viso preme accanto
al fogliame cresciuto alto contro un vetro.

Bubu Settetè.

Oggi sei assente dalla tua casetta
dei giochi in legno morto sussurrante.

Vedo ancora la tua figura, marionetta
in cartone ritagliato, che indossa neri

stivali allacciati.

La tua forma è una fossa che permane
nel mondo, preservata come un segnalibro

al tuo posto, sulla tua pagina preferita.
Ovviamente domani verrò a giocare

a nascondino

e il giorno dopo e il giorno dopo ancora.
Eccomi, spunto tra le assi del pavimento,

erba invernale scarnita. Eccomi,
continuo a contare, con le mani sugli occhi,
fingendo di non vedere.





Box Hedge


There is a shadow behind the hedge,
I can’t empty my mind of it.
It moves when I move –
sometimes in the shape of a high-stepping chicken,
sometimes a fly and barbarous fox.
Part of me wants to cannibalise it,
eat whatever is secreted there
witnessing my hesitation.
I decide that I hate it, then quickly relent,
all puff gone. The timorous leaves
rattle their assent: Who is the shadow,
the puppet, the skulking bête noir?

You are.





Siepe di bosso


C’è un’ombra dietro la siepe,
non posso liberarmene la mente.
Quando mi muovo si muove –
talvolta in forma di pollo balza in alto,
talvolta è una mosca e una volpe barbara.
Una parte di me vuole cannibalizzarla,
mangiare qualsiasi cosa vi sia custodita
a testimoniare la mia esitazione.
Decido che la odio, poi subito mi placo,
si dissolve. Le foglie timorose
acconsentono tremule: Chi è l’ombra,
la marionetta, la furtiva bête noir?

Sei tu.

domenica 14 novembre 2010

POESIA (CON)TEMPORANEA - TRITTICO di PierMaria Galli, Anila Resuli,Federica Galetto












‎[ ma cosa ci fanno per strada / le strade in autunno / se ci spostiamo da un ramo all'altro / a sagoma di foglie nervose / nel vivo di una mia mai poesia ]PMG


*

‎mia mai poesia reclusa
intoppo refuso spessore
di come fare
senza i veli turbinosi
e s’accostano le foglie
pendono i fiati ai rami FG

*

‎accostato al ramo il volto, l’umore del bacio,
la piega, il dorso, la pelle dell’albero
che ti fa poesia, mia carne. inumana
nutri. AR

*
‎deponi la scala alla mela
veleno che traccia
la sfinge e le labbra
nei nodi capienti si intrufola carne
pazienza
remota astinenza di giallo fulgore FG

*

‎distingui l’odore, la traccia della foglia sul muro,
la casa, una pietra continua dritta in gola, un nodo
di fame. l’urlo ha dita nervose: corrode.
consuma. AR

*
se pensi al corpo che solo corpo rimane
intonso ai lamenti
le croci dei roghi in autunno
le fosche rotonde agli incroci
se pensi
mia mai poesia di notte alle albe
crocicchi assuefatti e adagiati
nei colmi FG

*

‎mia mai poesia FG


*

‎ché ti tocco appena, non più bambina.
la voce si fa buio ed il buio cresta
che copre luce e finge, nella rotondità degli occhi
brucia. silenziosamente stacca. stona.
ridai voce al pianto. fai poesia.
fai poesia cava. assuefatta lingua, il tuo pianto
mi divora. AR

*



di(versi) annunciati stravolgi le membra
le costole brevi ai contorni ai pigmenti
colore slavato cresciuto/incrostato
di sillabe mute all’origine
e meste
calvizie d’amore impreciso alle luci
ti riempio
le sillabe ancora
esangui sul letto FG

giovedì 11 novembre 2010

V.S GAUDIO - LA STIMMUNG CON WHITMAN, LO STRETTO DI MALACCA











14


Diciannove anni dopo le aveva scritto questa lettera:


“Non potevo rispondere da via Gian Battista Vico

in cui anche a Torino il demone mi sussurrò attraverso la notte

e molto chiaro prima che venisse fuori l’alba.

A questo non risponderò con una parola,

conclusiva, sottile, che salga, così come l’onda del mare

quella parola che viene dai tuoi liquidi bordi

and wet sands.


14.1

A word

delaying not, hurnying not,

the low and delicious word

non come un fischio, né uccello

né my arous’d child’s heart

né strisciando di là con calma sino alle mie orecchie,

softly all over

my dusky demon and brother,

che canto per me in the moonlight on Rimini’s gray

beach,

My own songs awaked from that hour

e con essi la parola

that strong and delicious word which, creeping your

feet, swathed in sweet garments,

curvandosi da un lato

si immerge nel mare.



14.2

A questo si può rispondere da via Gian Battista Vico

in cui anche a Torino the unknown want

sotto la luna gialla che si chinava e che non

indugiava né s’affrettava

sussurrò attraverso la notte.


14.3

Quello non è il fischio del vento, it is not my voice,

né è the fluttering of the spray,

of the darkness,

né per tutta l’estate c’è il rumore del mare

la luna piena nell’aria più calma

quasi si alza il vento sulle rive del Delta del Saraceno,

io continuo ad aspettare

al riparo dai raggi di luna, a piedi nudi

con il vento che mi scompiglia i capelli

l’andatura che trattiene gli echi e i suoni

con quelle scarpe che avevi

quelle che avevi sempre portato

che a poco a poco si trovavano

sempre meno in commercio

e che avresti potuto fartele fare a Excideuil

e che allora non saresti stato l’ospite solitario

venuto dall’Alabama

ma dalla Dordogne, perché è da lì che la sera arriva

inevitabile, lenta, a strati successivi dietro le file

dei lampioni,

non è vero che si sia lungo le strade di Le Havre,

guardavo fuori il giorno che si spegne

e tu avevi detto:

- Guardi sempre il fiume, non ridi. Provi come una voglia

di averla contro di te.

E io ti chiesi se ti riferissi a Emily L.

E tu rispondesti:

- Lo stretto di Malacca!1




14.4

Quello che so è che non avevo passioni, né mi piaceva

Milano. O Excideuil. O Bologna. Forse neanche Torino.

Che non ha il fischio del vento, né la mia voce, non

c’è il palpito della schiuma, né ha la luce della luna

sulla spiaggia grigia di Paumanok.

A Bologna, quando incontrammo (sotto i portici di via Zamboni?

O era una via più stretta e pigra?) Guido Guglielmi e,

mi parve di leggere tra il sigaro e lo sguardo,

il superamento della intoxication of the heart e delle

contingenze esistenziali,

l’absolu e le hasard di Mallarmé da questa parte

e Une saison en enfer di Rimbaud dall’altra

che “prendono molto sul serio la lingua, una determinata

sincronìa, e la piegano a funzionare in maniera

antidiscorsiva e antimimetica”2,

non come, qui, i poeti di Milano

O give me the clew!

A word then

for I will conquer it

The word final, superior to all,

Subtle, sent up – what is it? –



14.5

A questo rispondendo attraverso la notte e molto

prima che venisse fuori l’alba,

questo non dimentico

che Alfredo Giuliani ti disse che la mia poesia

è come la parola emersa dalle onde,

quella forte, deliziosa parola avvolta in dolci abiti

e che si curva da un lato per ascoltare

il sussurro del mare

e che perciò ha qualcosa di terribile

questa intelligenza che naviga sui fiumi

che viaggia giù per il St. Lawrence, the Thousand Islands,

che my left foot is on the gunwale

and my right arm throws far out the coils of slender

rope o che sollevo i canestri di vimini di sbieco

vado in tutti i punti, uno dopo l’altro, e poi

remo per ritornare a riva

nella baia di Chesapeake

the place where I was born

To hear the birds sing once more,

vagare intorno alla casa e sui campi ancora,

per gli antichi sentieri del Delta del Saraceno

udire il fischio del vapore, the merry Shriek,

il sibilo della locomotiva



14.6

A questo si può rispondere

perché dentro di me è il giorno più lungo,

the sun wheels in slanting

rings, it does not set for months,

dentro di me zone, mari, cateratte, foreste, vulcani,

arcipelaghi

Malaysia, Polynesia, and the great West Indian Islands

le petroliere sulla Senna che tornavano da Rouen

di nuovo guardiamo al di là delle parole, del momento

guardiamo il fiume, come se fossimo a Torino, la piazza,

l’estate sonnolenta, a Excideuil

dove t’avevo cercato e lì avevo chiesto al Captain

se aveva visto in giro, sul comò, un foglio scritto.

Poi abbiamo parlato del tempo e delle cinque porte

di Excideuil, the high parapet di Ezra Pound

di come navigando nel suo inconscio geografico che New York

avesse trovato a Périgueux e perciò fosse finito nella

Ville du bord de l’eau, le “tonneau d’Isis”, déesse de la médecine et

de l’agricolture, ai confini del Périgord e del Limousin,

cercando dappertutto senza allontanarsi mai più

di tanto dallo sguardo della solitudine

in questa morte apparente occupandosi della barca

il tramonto che continua a salire lungo le pareti,

lo specchio, sopra la corsia de la Loue

fino a che la luce del crepuscolo,

nello Stretto di Malacca, bagna le strade, gli edifici del porto,

le sale dell’hôtel de la Marine3.




14.7

Fu allora che rientrando da Saint-Médard d’Excideuil

Dov’eri stata a vedere le château d’Essendièras,

dove visse André Maurois,

e l’immensa plantation de pommiers,

sei apparsa al centro del parco, e io ero alla finestra

di fronte e mi hai sorriso e ti sei allontanata

probabilmente verso il bosco di eucalipti, nel Delta

del Saraceno

mentre io per la route de Sarconnat me ne sono andato

a Saint Martin a vedere ciò che fu di Jules Parrot

il medico della sifilide, dell’atrepsìa e della morte apparente.



14.8

è come essere a Milano

lo stesso parallelo di Excideuil, questa botte d’Iside

il passato, il futuro, abitare lì,

in cui ci sono favole che sdegnano ciò che è conosciuto,

oceani che non possono essere attraversati, ciò che

è distante non sarà mai portato vicino,

né le terre saranno tutte saldate insieme

non possiamo aspettare più a lungo,

è qui che il tempo, lo spazio si fa

la mia regione infinita la cui aria

io respiro, questa luce spanta sulla Loue

in questa cisterna, la Cibbia d’Iside, più grande

delle stelle e dei soli

più grande del tuo viaggio

più grande del tuo desiderio

più profonda quest’acqua del Sanscrito e dei Veda

e più terribile degli antichi feroci enigmi

e più cosparsa dei resti di scheletri di chi

vivendo non la raggiunse,

segreto assoluto della terra e del cielo,

O waters of the sea, o winding creeks

and rivers, la Loue, l’Auvezère, le Dalon, l’Isle,

potrà la mia anima coraggiosa

far vela più lontano,

più lontano di questi mari

in cui c’è il passaggio di Sirio e di Giove,

e del Sole, della Luna, di Iside?

E questo potrà passare per Quillebeuf prima di rientrare in Inghilterra

o per Cesena prima di rientrare in Calabria

una notte di navigazione e si arriva?

O questo, che la poesia da raggiungere attraverso

tutte le lingue, tutte le civiltà, sia una sola?”


[da: La Stimmung con Walt Whitman, Passage to India and other Poems, © 2005]


V.S Gaudio ©

mercoledì 3 novembre 2010

NIGHTINGALE





Collage di Federica Nightingale - Immagine centrale di Li Feng ©




This is my old room
This is my pledge
This is the place where I'd love to be
In the darkest night of a winter's solitude

This is my old room
Don't forget

I'll leave a pillow on the wooden chair

That's where my head rests
And my heart aches


Questa è la mia vecchia stanza
Questa è la mia promessa
Questo è il luogo dove amerei essere
Nella notte più buia d'un inverno solitario

Questa è la mia vecchia stanza
Non scordarlo

Lascerò un cuscino sulla sedia di legno

E' dove il mio capo trova riposo
E il cuore mi duole









§



E' perchè ci si sente ingoiati dai muri,
dai vetri,
dalle piastrelle del pavimento,
ci si sente in acquoso indugiare d'acquitrino,
nei polsi dei libri a cataste e poi, poi,
quanto sembrano roche le lime del silenzio
e quanto,
quanto accendono voci bianche
e gelati cori nei corridoi
i baluginii delle maniglie;
l'ottone che avanza tra le ciglia
e senza nulla sperare
erode l'ennesima arsura.
Sembrano immense le sere,
discese come sono da un predellino
che è stato giorno,
per quanto, chissà,
rimarranno
la testa scoperta e il costato aperto.


Federica Galetto Nightingale ©

venerdì 29 ottobre 2010

TOLSTOJ INNAMORATO









E' in preparazione, per i tipi delle Edizioni Kolibris, un libro che si preannuncia decisamente gustoso e interessante. Di Ray Givans, questo libro credo sarà una chicca da tenere d'occhio; nel frattempo vi propongo un assaggio. Grazie a Chiara De Luca per queste prime battute in anteprima.

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Tolstoj innamorato


Il cordone ombelicale di una quercia mi prende al laccio lo stivale,
serpeggia nel sottobosco tra fogliame in decomposizione
e licheni. Sotto la tettoia scricchiolante, il mio pastrano
(che strascica trentaquattro anni di ricordi)
mi ritrascina alle mie prime grida di neonato a Polyana.
Più avanti, sul ciglio della foresta di Zaseka,
la luce del sole s’insinua attraverso le chiome diradate,
giocando in nastri sulla spalla nuda di Sofja Andrejevna.
Lei indossa un abito bianco con la semplicità e la purezza
del giovane torrente che le dilava i piedi.
Palivanov si avvicina, in uniforme da cadetto,
i bottoni militari scintillano di steli di luce.
Ti spazza via in un walzer, tanto fluido e lieve
che potresti danzare sule schiene dei campi di granturco oscillante.
E io devo guardare, poggiare la testa contro le sopracciglia aggrottate
della quercia, protestare che sono troppo vecchio per danzare.
In una polla fangosa specchio la mia sagoma, la mia bruttezza.
Sono quel Principe Dublitzskj del tuo romanzo.

Eppure, un angelo sulla mia spalla combatte coi miei demoni
mi spinge in avanti nella luce del sole. Luce
“Sonja” come seme trasportato dal calice di un dente di leone
vola verso di me. Le tengo le mani. Il suo corpo,
aromatico, decanta cannella e pomander.
Trema come un uccello ferito, arrossisce come le avessero
messo il fard sulle guance. È troppo sperare
di essere resi belli dall’amore di una giovane donna?



Sonja Tolstoj


Sopra la fiamma gialla della candela guardavo
in angolo le pagine del mio scritto ritrarsi in onde
nere e marroni, finchè non potei più tenere i fogli
in mano. Li lanciai nel camino,
ipnotizzato dal pallore del fumo che saliva…

Al fresco della sera nel giardino della cucina
di Yasnaja Poljana, Lev Nikolaevich
mi lascia cogliere le fragole che vanno maturando;
succhi rossi mi striano le labbra e le dita.
La sua mano di lavoratore mi struscia contro l’abito.
Una vanessa, irrequieta, frulla al di sopra
di un mare pungente di timo e di menta.
Tocco un bottone d’ottone sul suo pastrano
da soldato, avverto il calore contraddittorio
e l’acciaio dei suoi occhi grigi mi assale.

E sono in fondo alla discesa di un covone di fieno
al sicuro nelle mani dello scrittore. Sto ridacchiando
e lui mi fa vorticare nell’aria;
inamorato della sua profonda voce vibrante.
Sul margine di rigogliosi campi di grano,
capelli si tendono nel vento; la mia giumenta, Belogubka,
galoppa all’unisono con il cavallo bianco del conte.
Quando entriamo nel crepuscolo della foresta di Zaseka
zoccoli schiantano rametti di betulla e sento
mia madre chiamare, “Sonja, entra a ripararti,
entra che è ora di dormire.”

Caccio un attizzatoio
Infilzo con un attizzatoio il cuore in fiamme
di carta carbonizzata; i petali di seta del margine
fumano; volteggianoin nubi di particelle. Perché,
perchè, mostrai al mio amato soldato-scrittore
questo romanzo novizio? Sperando il suo amore
si stesse facendo più profondo
come il lento gocciare d’acqua
raccolto nel barile sotto la grondaia a Poljana?

L’amore è un giardino d’erbe amare e lenitive.




La gelosia di Sonja Tolstoj


Scendendo questa mattina ho trovato la porta
spalancata. Odore fetido d’acqua sporca
e flusso d’aria fredda si mescolano sulla nostra soglia.
Quella donna, come china in preghiera,
lavorava, lenta, in senso orario, con la spazzola ansante.
Ci fermammo. Riconoscemmo moglie e amante.
Lei si piegò sulle anche robuste, arretrò,
tenendomi sotto il tiro di quegli occhi provocanti...

In un capanno desolato il suo fantasma mi filtra
sottopelle. Rabbrividisco al pensiero di vederla
ancora una volta; di guardare, di nuovo
nei grigi occhi del figlio bastardo di mio marito.
Una pagina di diario si apre: “Mai così tanto
innamorato... Contadini chini, covoni intrecciati
di fieno. Il sole si concentra su un letto di foglie
d’acero e noce. Lev strappa la camicetta
come un maiale che rufola tartufi, libera
dalle catene i seni della ssua duttile serva...
“Sonja!”
Fuori, i piedi di Zia Toinette falciano
alte erbe. Lascerò questa tana
al tramonto. Siederò alla tavola di fronte a Lev.
Il samovar fischierà e gorgoglierà tra noi.



Sonja Tolstoj piange per il figlio


Forse fu il brusio di formule del prete
ad attirarmi là. Oppure, forse, la finestra in vetro
colorato che rifrangeva la luce dal volto emaciato
di quell’Unico agonizzante. Eppure, bramo
la preghiera,visito umide stazioni di confessione,
bevo sottile ostia sciolta, snocciolo
il credo, senza conforto, consolazione ...

In volo afferro le ali di Aljosha,
scivolo sul cimitero di Nikolskoje
esposto allo scalpello del vento del nord.
Un cane solitario ulula quando raspo
la porta delle terre, chiusa su Vanichka ...

Inalo un pizzico di cera e incenso
che mi calma, dolce fragranza floreale.
Luce di candela inonda il volto di mio figlio.
Calore del suo fiato duole nelle praterie
delle veglie del giorno e della notte, verso la cessazione...

Pioggia cade dalle nubi umide di Mosca,
penetra fino alle radici dei miei capelli legati stretti.
Vanichka si alza, mi culla alla base
delle sue ali d’angelo, verso una frattura dell’orizzonte su Kiev.
Raggi di luce formano uno spettro
di colore. Il tocco delicato e il peso delle dita
di pianista di Tanejev scacciano
il cane nero che mugola alla luna velata.

mercoledì 27 ottobre 2010

A GORSLAS

 







Testo di Federica Galetto

Immagine di Maggie Taylor
Posted by Picasa

martedì 26 ottobre 2010

ELISE STEWART






Poesia ipnotica, elegante, suggestiva. La lingua inglese le rende pienamente giustizia, i suoni che racchiude sono perfetti. Una bella prova di "Poesia & Suono"
perfettamente armonici. Amelia Rosselli l'avrebbe apprezzata per questo, credo. Video in piena simbiosi con il testo. Brava Elise.



Psalm


I come undone,
a sigh, a release


Content to touch
the white flesh
of your palm-

See the lines
here and there
curve to route’s
un-fated hand.

I come to you
with angels;


You choke
the voice that
longs to sing.

Do you not see
the winding thread
of wings
unfold within
your palm?







Salmo


Perdo il controllo,
un sospiro, una liberazione

Contenta di toccare
la bianca carne
del tuo palmo

Vedere le linee
qua e là curvare
nella rotta
d'una mano
sconosciuta

Vengo a te
con gli angeli

Soffochi la voce
che desidera cantare

Non vedi
il sinuoso filo
d’ali
spiegarsi nel
tuo palmo?


Elise Stewart ©

Traduzione dall'inglese di Federica Galetto






Biografia:

Editor della rivista di Poesia Decanto, pubblicazione internazionale di Poesia.
Scrivo Poesia e ho al mio attivo già alcune raccolte,composte nel corso degli anni. La mia nuova raccolta di poesie "Paradise" è stata ampiamente recensita nel Regno Unito, Canada e USA.

I miei siti:

http://www.elisepoetry.webs.com/

http://myweb.tiscali.co.uk/masquepublishing/

sabato 23 ottobre 2010

Da "Gli Anni" di Virginia Woolf





Digital Collage di Federica Nightingale ©


It was an uncertain spring. The weather, perpetually changing, sent clouds of blue and of purple flying over the land. In the country farmers, looking at the fields, were apprehensive; in London umbrellas were opened and then shut by people looking up at the sky. But in April such weather was to be expected. Thousands ...of shop assistants made that remark, as they handed neat parcels to ladies in flounced dresses standing on the other side of the counter at Whiteley's and the Army and Navy Stores.
The years - First pages, Virginia Woolf



Era una primavera incerta. Il tempo, in perpetuo mutamento, disponeva nubi blu e porpora a volare sulla terra. Nelle campagne, i contadini guardando i campi apparivano apprensivi; a Londra venivano aperti e poi richiusi gli ombrelli nel guardare al cielo. Ma in Aprile un tempo simile c'era da aspettarselo. Centinaia di commessi nei negozi affermavano ciò rimarcandolo, mentre portavano pacchi ben fatti a signore in abiti a balze, in piedi sull'altro lato del bancone di Whiteley's e Army and Navy Stores. Gli anni - V. Woolf (Trad. Federica Galetto)

giovedì 21 ottobre 2010

SILVIA MOLESINI






Anke Merzbach ©









Ho visto tutte le albe




Ho visto tutte le albe, tutte
ma una luce così sottile
non mi ha mai abitata
non mi ha mai, l'alba dico,
trasformata nel suo ventre bianco
e nel suo vento bianco risanata
con rosso canto controlunare
l'alba non mi ha mai partorita, mai.
Quando raccoglie per tanti i suoi semi
e li diventa/pianta/potente.
Quando tutte quest'albe vedute
niente, ho tenuto un diario:
alle date seguivano i segni delle cose scure
e a loro l'incontro con l'altro lato
e mi sembrava diverso il chiaro.
Che mi era possibile anche senza giorno
e desiderabile anche senza data
perché mai mi ha abitata l'alba
si è fatta un giro attorno
forse mi ha un poco
(solo per poco)
allattata.




*




Il fiore di un arancio

Tu l'hai più visto un fior d'arancio?
E sai cos'è?
Discendono dal sole,
sono stati dei.
E sai perché una cosa è dio?
Sembra che un ricordo per ciascuno
eternamente ritorni
e diventi quello che continuerai
a cercare:
il fiore
di
un
arancio,
una mattina presto al mare.




*



PIERINA PAN (ho visto una folletta verde in treno)


E' qualcosa che se ne sta sbocciando
nella sua indecifrabilità e tensione:
occhi con contorno con collana
a grosse perle-bocconi ascolta Waits
o un francais, un belga (è confidenziale)
Sinatra live-roco carnevale; Cave.

Una sua dolcevita dolce verde
e più scura la maglia messa sopra
svasata sulle braccia-bretelline
ma preme su due prime mammelline
e s'infila nella cinta con le borchie.

Capelli corti esplosi in tante ciocche
e un lungo naso:
il resto è piccolino ed incalzante
boccio di gemma di albero di prato.



Silvia Molesini ©




Biografia:

Silvia Molesini, nata a Bussolengo (Vr) il 14 luglio 1966, vive e lavora come psicoterapeuta a Costermano (sempre Vr). Ha pubblicato le raccolte Nuova noia (Ibiskos ed. 1987), L’indivia (Campanotto ed. 2001), Il corpo recitato (I figli belli ed. 2004), Lezioni di vuoto (Liberodiscrivere ed. 2006), Cahiér de doléances (Samiszdat 2009), 13 algebriche mistiche (voici la bombe 2010). Ha partecipato al romanzo a rete Rifrazioni scomposte su corpo 12 e, per circa due anni, membro fondatore, al progetto Karpòs. È presente su diverse antologie, su qualche rivista letteraria (Le voci della luna, Filling Station, L’ortica, Critère, Niedergasse, Progetto Babele- Il foglio letterario- Historica), su vari siti di interesse letterario in rete ed è stata segnalata in alcuni concorsi di poesia (nel 2008 : con Esanimando al Premio Montano e al premio Mazzacurati/Russo con Cahiér corpo piccolo ). Collabora con absolute poetry, zeropoetry, viadellebelledonne, poetarum silva. Partecipa volentieri a slam e reading quando la chiamano, di solito.
Work in progress e sito di riferimento: Nascita e morte (titolo provvisorio). Letture su www.myspace.com/molesini (Alle quattro e venti circa) e su http://www.youtube.com/molesini.

mercoledì 13 ottobre 2010

RAFFAELE RUTIGLIANO





Collage digitale di Federica Nightingale ©





RINVERDE



Acconsento
Spartane le acque
Purificano
Lo stato indomito
Il fiato sorprende
Il gelo fumante
Riscalda
Riposto lo stelo
Sul palmo
Inonda lo spasmo
Persuade l’orgasmo
Cade il groviglio
Di anime un tratto
E sorpreso
Ritorno
A odorar le piante







LA TUA PRESENZA


Rimango non curante del tuo bisbiglio
ma lì nell'angolo
ti vedo rupestre

sarà forse il momento
dovuto di parole-corde
sottese in la minore
a farmi credere che tu sia mia?
che sia l'angoscia
della mia solitudine?



Questo tenerti a palmo
questo respirarti dentro
come un lento lavorare di vimini
mi ingarbuglia i pensieri
vivere più a lungo?
finquando la luce proietta ombre sul prisma
il pulviscolo dall'otturatore
non sarà rimosso
e l'anima-lente, piatta
rimarrà
pulita e vitrea,
di cristallo.



Raffaele Rutigliano ©

sabato 9 ottobre 2010

MARIO VARGAS LLOSA - NOBEL PER LA LETTERATURA




Foto dal web



A questo link un pdf che riporta uno stralcio tratto da "E' pensabile il mondo moderno senza il romanzo?" di Mario Vargas Llosa - a cura di F. Moretti - Einaudi, Torino, 2001, pp.3-15

http://files.splinder.com/8f48a31f96768b81daf75c1ba63c8b81.pdf

venerdì 8 ottobre 2010

CHARLOTTE PERKINS GILMAN










22-23 ottobre - Roma

Conferenza internazionale su Charlotte Perkins Gilman, sociologa, educatrice, economista e letterata americana, in occasione dei 150 anni dalla sua nascita. I temi a lei cari furono: l'indipendenza economica come presupposto per la vera libertà; la riforma dell'istruzione per l'educazione al pensiero critico, alla valorizzazione delle differenze e delle capacità delle donne e degli uomini, alla cittadinanza democratica, partecipata e responsabile; la riorganizzazione familiare e sociale per assicurare a donne e uomini una vita più felice eliminando i conflitti tra i sessi; la rivalutazione della maternità come fondamentale funzione sociale; la lotta al pregiudizio e agli stereotipi che bloccano il progresso sociale. Evidenziò le ragioni economiche che hanno provocato la gerarchia tra i sessi e la trasformazione delle donne in individui over sexed, dove le caratteristiche sessuali prevalgono sulle qualità umane e il ruolo dei mass media nella perpetuazione degli stereotipi. Autrice di fama mondiale, collaborò con giornali e riviste, pubblicò saggi, ma anche poesie, novelle e racconti utopistici, e divenne, infine editrice e redattrice di un suo mensile The Forerunner. Gravemente malata morì per autoeutanasia nel 1935.Tra i suoi scritti più famosi ancora oggi ripubblicati ed oggetto di studio nei corsi universitari: The Yellow Wallpaper, Women and Economics, Concerning Children, Social Ethics, Herland.

giovedì 7 ottobre 2010

MICHELA ZANARELLA





Carla Bedini ©


Fiato impuro

Come un inverno in guerra
continuo a masticare
gelidi precipizi.
Dal seno buio del silenzio
raccolgo le febbri
di un temporale.
Non so come nasce
tutta questa ferocia,
si spalancano pupille
arrossate da suoni nervosi.
Tenebre solitarie
si riproducono in fretta.
Ciò significa
che il mio fiato impuro
è schiavo
d' atroci inganni.



*



Io nell' amore

Io nell'amore,
in mezzo ad orti di fiato
rivelo agli istinti umiltà.
Sempre un brivido senza vento
rincorre pianerottoli di voce
dove la notte insegna un chiudersi
di labbra agli orizzonti.
Mi chiami il torrente
al mistero sacro del piacere
contro il fusto d'occhi e gelsi,
mentre le pelli giocano in grido
alla verità dei bambini
come aromi innocenti al primo
passo in sogno.
Ciò che le ciglia attendono
è l'incantesimo di un seno in agguato,
assorto tra metallici riflessi
di una schiena che cade aggredita
dal vapore d'ignoto.
Ho sceso i destini tanto simili
all'irrequietezza del tempo
e nell' affrontare la luce
ho impedito che il fuoco
uscisse dalle nostre unghie,
dal nostro palato.



*



La casa degli istinti

La linea del cielo
risciacqua una poesia
nella tua voce.
Io sto in ascolto.
Con il cuore da bambina
soffio l'infinito che si specchia
nell'aria
e rinasco nel sughero della tua bocca.
La casa degli istinti è vicina,
sotto la buona pioggia di un tremore,
dentro l'onda giovane di uno sguardo
senza misura.
Le mie labbra nascondono fulmini,
una sequenza di baci illuminati,
l'ossessione paziente
di un amore che copre intere stagioni,
zolle, orizzonti.
Cade passione su tutte le vene
e così vivo e ferisco di gioia
il fondo della memoria.
Ti vengo a cercare nella capigliatura
dell'anima e
ti trovo rugiada che veglia
piacere eterno sul pavimento
degli occhi.


Michela Zanarella ©




Biografia:

Michela Zanarella nasce a Cittadella (Padova) nel 1980.
Inizia a scrivere poesie nel 2004 e scopre un talento naturale nella espressione della vita in versi.
Ottiene alcuni risultati nel campo della poesia come le menzioni di riconoscimento
nei concorsi Beniamino Capparelli nel 2005 e Don Luigi Riva di Varese.
Ottiene pubblicazioni in diverse antologie di poesia a tiratura nazionale.
Pubblica una sua prima raccolta di Poesia dal titolo "Credo" con L'associazione culturale MeEdusa.
La raccolta, ottiene un buon riconoscimento popolare con una tiratura di mille copie.
Partecipa attivamente alla diffusione della poesia sia come mezzo di comunicazione
sia come elemento di dibattito tra i giovani.
Tra le sue passioni troviamo la letteratura internazionale con particolare interesse per la letteratura francese, lo studio dei grandi pittori della storia, i viaggi e la conoscenza di nuove culture. E' stata ospite alla trasmissione radiofonica di Rosanna Perozzo su Radio Cooperativa a Padova. Alcuni articoli sono presenti su quotidiani quali il Mattino di Padova, il Gazzettino di Padova, il Padova, la voce dei Berici.
Ha partecipato alla trasmissione televisiva "Poeti e Poesia" di Elio Pecora su Televita, a Roma.
Risvegli,ed.Nuovi Poeti, è la sua seconda raccolta poetica.
Ha ottenuto il terzo posto assoluto nel concorso internazionale "Vitamine per l'anima", nel marzo 2008. Nel premio Onlus Mecenate ha ottenuto il sesto posto assoluto.Menzione d'onore al premio Mondolibro di Roma, secondo posto al premio Groane 2008,primo posto assoluto al premio"Calogero Rasa" di Palermo, secondo posto al premio "L'aquilaia", Grosseto, secondo posto al premio "Invito alla poesia" di Trieste, menzione speciale al premio "Irpinia mia" di Avellino.Decimo posto al premio "l'umanità non sposa la violenza" di Cremona, menzione di merito al "Premio Solaris", menzione di merito al premio "Cà Domnicu" di Cadoneghe, Padova, sesto posto al "Premio Marguerite Yourcenar" di Montedit, secondo posto al premio Comune di Riolunato, segnalazione al premio "Olinto Dini".
Ha iniziato a scrivere i primi racconti nel gennaio 2008.
Ha collaborato alla realizzazione del libro "Solitudini dentro" di Carmen Tomasi, ed. Nuovi Poeti.
Nel 2009 ha ottenuto menzione di merito nel concorso internazionale poesia e immagine "Marco Pantani", si è classificata al terzo posto al "Premio Animo Animale" di Pordenone, primo posto al Premio "Anime e luci 2008", a Padova, secondo posto al premio "La Rondine", di Trento.Menzione di merito al premio "Contemporanei d'autore".
Finalista al "premio Tindari-Patti" e al premio "Salvatore Cerino".
Ha pubblicato il terzo libro "vita, infinito, paradisi" ed.Stravagario nel giugno 2009. Ha partecipato come membro di giuria al premio "Ebbri di poesia 2009"
Ha ottenuto il terzo posto nella sezione poesia edita al premio "Memorial Gennaro Sparagna 2009".
Ha partecipato come membro di giuria al premio Internazionale di poesia "Città di Torvaianica".



domenica 3 ottobre 2010

VERA D'ATRI



Betsabea - Digital Collage di Federica Nightingale ©


Leggere Vera D'atri è accorgersi che la Poesia esiste e palpita, e vive respirando e muovendosi accorta fra le ore,i giorni,la vita. Una delicatezza acuta e straordinariamente di alto livello evocativo nonchè "visivo" ci trasporta senza bisogno di soffermarsi troppo sui versi e sulle parole. Tutto è assolutamente chiaro e comprensibile. E bellissimo, in perfetta armonia. La consiglio vivamente a tutti, credo si possa imparare moltissimo dalla sua scrittura e dal suo elegante e vivido sentire che, come accade quando si ha molto talento,appare naturale e semplice, pura Bellezza.

Federica Galetto









La prima luce cade verso l’alto,
come fumo, come nostalgia,
colmo di perle è il mare e arretra e
già depreda la marea questo sostare in vita tanto
incerto,
ch’io non indovinai,
io sciolsi nel silenzio la risposta
tra l’ombra liquida del pianto
e l’asciugare attento dei tuoi baci.

A giorno fatto, alla vedetta il verde delle ortiche
si rovescia dal costone giallo,
acrobata di circo sotto al cielo.
Il verde dissotterra il seme per l’esile rincorsa.
E con me l’azzurro cerca i suoi troni d’oro.
Piena di ami l’acqua.

A sera, raggi arruffando
d’una scarlatta ultima risorsa,
chiudo i pericolosi varchi dell’attesa
e nulla, in effetti, propaga l’orizzonte
tranne la notte
che plana oltre il ponente
e ammucchia irragionevoli perché
nel patchwork del mio sonno.

E ancora chiuso il ventaglio del rimedio
giunge amica infame la coscienza;
ora lei manda al macero ciò che ho compiuto.

Ma io sto al gioco senza interruzione
perché non c’è miglior tempo che la vita
né miglior vivere che fuggire nello spazio il tempo
e dargli l’infinito.

Ed ecco che qualcuno già si muove sugli appannati asfalti
e da più lenti battiti riprende l’interrotto.
L’utile va pel suo quadrante.
Il verde, l’azzurro e l’oro contrastano la pena.

Vera D'Atri, "Una data segnata per partire" Kolibris 2009


http://www.kolibrisbookshop.eu/store/?p=productMore&iProduct=23

giovedì 30 settembre 2010

FEDERICA GALETTO





Collage Digitale di Federica Nightingale ©





Forse è perchè tu hai così tanto freddo
Forse è perchè le tue braccia
ancora pendono
sul mio capo tiepido e pesante
Questa non è una curva
Questo non è un anello
Forse questo è il tuo tocco
che mi fa respirare così profondamente
nell'età oscura del riposo


May be because you are so cold
May be because your arms still hang
on my warm, heavy head
This is not a curve
This is not a ring
May be this is your touch
that makes me breath so deeply
in the dark age of the rest


Federica Galetto ©

BEATRIX POTTER








martedì 28 settembre 2010

JOHN BARNIE - LA FORESTA SOTTO IL MARE








Collana Goldfinch - poesia gallese contemporanea
JOHN BARNIE, La foresta sotto il mare
Traduzione e introduzione di Chiara De Luca
ISBN 978-88-96263-34-1
pp. 126, € 12,00
http://www.kolibrisbookshop.eu/store/?p=productMore&iProduct=45






Artista camaleontico, con uno spiccato interesse per la fotografia e le arti visive, John Barnie è poeta, narratore, saggista e ha suonato la chitarra in numerose band di blues & poetry. Kolibris ha già pubblicato la sua raccolta poetica Tumulto in cielo, il romanzo in versi Ghiaccio, e sta preparando la pubblicazione dell’antologia di poesie scelte Gigli di mare. E presenta ora La sua più recente raccolta La foresta sotto il mare. Già soltanto i titoli di queste opere sintetizzano il movimento della poesia di John Barnie, il suo ampio, ambizioso raggio d’azione: dal cielo in tumulto, in cui attraverso una serie di incidenti, spesso minimi, reali o immaginari, storici o biblici, il poeta ritraccia l’intero percorso del genere umano, con tutte le ansie e le contraddizioni, le energie e le pulsioni che ne hanno determinano l’evoluzione, o involuzione; al ghiaccio che ricopre la Terra in un ipotetico futuro non lontano, seguito allo scioglimento dei ghiacci determinato dallo sfruttamento indiscriminato delle risorse naturali da parte dell’essere umano, condannato a vivere sotto terra, in tribù ridotte a lottare le une contro le altre in virtù di una stentata sopravvivenza. Nella Foresta sotto il mare John Barnie è di nuovo sulle tracce delle radici dell’umano, e Dio, assente in Ghiaccio, “Vecchio Burlone” pavido in Trouble in Heaven, torna, altrettanto improbabile ed evanescente, a osservare in disparte, nascosto o soltanto vagamente immaginato in lieve speranza. E il poeta continua la sua ricerca, stavolta armato di lente d’ingrandimento, tra le meraviglie in sordina del mondo naturale, tra le laboriose vite degli insetti e il travaglio dell’umano che barcolla tra le miserie del quotidiano e la minaccia della morte, tra la ben misera vittoria della sopraffazione sulla natura e le sue creature più indifese e l’inerme abbandono al proprio auto inflitto destino. Il poeta segue le tracce della vita, accoglie il rimbalzo dello sguardo sullo specchio fragile di una bellezza sempre minacciata. Coglie ciò che dell’integrità dell’origine riaffiora, come quei resti di radici e di tronchi, quegli anelli di corteccia testimoni di un mondo concentrico e complementare che altrove ancora respira: la foresta sotto il mare. La natura sommersa, assieme all’ipotesi di una città che in essa viveva e prosperava, svanita, così come gli abitanti di Banda in Ghiaccio. Alla poesia Barnie sembra perciò chiedere molto, ovvero di colmare come può il vuoto, la separazione tra l’uomo e sé stesso, tra l’uomo e la propria origine, (s)radicata in ciò che resta di un territorio vergine, sussurrata dal calice schiuso dei fiori, allusa nel ronzìo sommesso degli insetti, sfiorata nel canto fluttuante degli uccelli, che paiono sempre farsi tramite tra l’uomo e il proprio remoto desiderio d’infinito, tra la gravità dell’essere e l’ansia mai sopita del volo. L’immersione nel piccolo, nel minuscolo, nel nascosto è dunque riavvicinamento al buio dell’origine, è svanimento dell’umano in funzione di una nuova nascita, è riappropriazione e radicamento nella terra, sia essa cosparsa d’erba alta o di fango, sia essa trampolino di fuga o banchina d’approdo. È il corpo che “si sveglia” e invita il cervello: “Facciamoci un drink, mio tormentato amico.”

Chiara De Luca




No Going Back


There’s the statue to the Dignity of Man
toppled over and a hand pointing up through
brambles, and the rotting watchtower with its tannoy’d
voice singing, I did it my way; toadstools

push their heads through needles on the forest floor
like folk tales jumped out of the books;
so there was something to it, though we’ll never find
the witch and the gingerbread house now.


Senza ritorno


C’è una statua alla Dignità dell’Uomo
rovesciata la cui mano indica in alto tra i
rovi, e la torre di guardia in rovina con la voce dell’auto-
parlante che canta, Feci a modo mio; funghi velenosi

spingono le teste tra gli aghi sul fondo della foresta come
racconti popolari saltati fuori dai libri;
così c’era qualcosa che portava lì, anche se non troveremo
mai la strega e la casa di pan di zenzero ora.



Spider Crabs


If I can climb
over the backs of my brothers and sisters
to the hands manhandling this cage

I’ll tear them to red confetti
for a blood wedding;

pity is a word thrown overboard by Noah;
It tasted good,

said the lips of the shark.


Granchi ragno


Se riuscirò ad arrampicarmi
al di sopra delle spalle di fratelli e sorelle
fino alle mani che manipolano questa gabbia

le strapperò facendone confetti rossi
per un matrimonio di sangue;

pietà è una parola che fu
gettata in mare da Noè;
era buona,

dissero le labbra dello squalo.
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