Traducendo Einsamkeit
STANZE DEL NORD
SCORRONO LE COSE CONTROVENTO di FEDERICA GALETTO
ODE FROM A NIGHTINGALE - ENGLISH POEMS
A LULLABYE ON MY SHOULDER di Federica Nightingale
EMILY DICKINSON
martedì 16 novembre 2010
JANE MCKIE, Morocco Rococo - Poesia Scozzese Contemporanea
Collana Guillemot -Poesia scozzese contemporanea
JANE MCKIE, Morocco Rococo
Presentazione e traduzione di Chiara De Luca
ISBN 978-88-96263-36-5
pp. 114, € 12,00
“I disadattati non possono scrivere poesie all’interno, / non possono sedere tranquilli / su divani beige floreali, con le ginocchia unite.” Forse è per questo che la poetessa si muove inquieta, cambiando d’abito a ogni angolo, si getta fuori in ogni direzione, felicemente disadattata, si (ri)adatta alla forma delle cose o più spesso piega le cose ad assumere la forma dell’umano, per arare “l’anima come pane in cerca di nutrimento”, per cercare cioè nella sostanza del discorso, corpo del pane, l’origine del seme della parola gettata nel solco dell’ascolto. Come un granchio, “così goffa, così terribilmente maldestra”, la McKie si strappa di dosso i begli abiti sgargianti di Venere, spogliando il corpo della lingua, per indossare gli stracci vissuti di Atena “principessa nubile in armatura” (d’immagini e parole), costantemente in lotta contro l’immobilità, contro la forzata staticità di un linguaggio che indossiamo come un abito fuori misura. Noi seguiamo la poetessa in questa spoliazione, sotto il peso di immagini concretissime e taglienti. O che solo così sembrano, per poi crollarci invece addosso e svaporare, rivelando la sorridente astuzia della poesia che si fa vita, che appare improvvisa, per poi nascondersi dietro il primo superficiale velo del reale, sorretto dai pali del “cancello della fantasia”. Dove la visione indossa altra pelle, si modella in altre forme, per ricomparire ancora agli occhi sorpresi del lettore, che ancora non ha terminato di decodificare il quadro precedente. “Donna campana”, donna coi pugni stretti che canta alto, affermando la sua presenza ben oltre il desiderio ormai sgozzato di un tardivo dono di salvezza, ferita dal sale, e da esso poi protetta e indurita, soffocata dalle onde e da esse poi levigata e restituita. Per unirsi al coro delle nuvole che “abbaiano sui monti dell’Atlante”, con il cuore vulcano e il vulcano fucina d’altra vita, altro fuoco, per chi vuole “cavalcare, non riposare”, per chi si disfa in atomi portati dal vento harmattan “in un gioco di quattro venti e sabbia”, di dissoluzione e ricomposizione in qualcosa di più lieve, all’apparenza, che si posa aereo sulle cose e ce le ripropone, trasfigurate, reinterpretate, moltiplicate nell’intersezione di piani del sogno. La poetessa è “arpia che beve con avidità / da orme di zoccoli colme d’acqua”, sugge cioè vita da ogni traccia di vita che si fa direzione, nuovo inizio per fuggire il terrore “l’ombra, / la marionetta, la furtiva bête noir.” Per fuggire cioè se stessi e ritrovarsi al di fuori in nuova possibilità, risorti nell’ovunque e nell’altrove.
Chiara De Luca
Montgomeryshire, Scale Six Inches to One Mile
Surveyed 3882-84
You could wrap yourself in a map like this one –
wrap yourself naked as if it were a cloak,
roll on the ground, revel in the caress
of stressed paper stained lurid green
by the crush of fresh grass. Your knee
could rest on a tumulus, your breast on
Llanwyddelan, your tummy on Tregynon,
your pubic bone on Aberhafesp. The rifle range
above Penarth Wood could make a fine collar,
and, when you shift your body’s contour
around the creases of the map, Bron-Hafod Dingle
above Gregynog could become the perfect omphalos.
Montgomeryshire, Scala 1 cm: 1 km
Sorvegliato 3882-84
Potresti avvolgerti in una mappa come questa –
avvolgerti nudo come fosse un cappotto,
rotolare sul terreno, crogiolarti nella carezza
di carta stropicciata striata di verde sgargiante
dal frantumarsi di verde fresco. Il tuo ginocchio
potrebbe posare su un tumulo, il tuo torace su
Llanwyddelan, la tua pancia su Tregynon,
il tuo osso pubico su Aberhafesp. Il poligono
sopra Penarth Wood potrebbe formare un collare sottile,
e, quando sposti il contorno del tuo corpo
attorno alle pieghe della mappa, Bron-Hafod Dingle sopra
Gregynog potrebbe diventare il perfetto omphalos.
The Bosham Bell
Ye bell of Bosham, ring for me
For as ye ring, I ring wi’ ye.
I am ringing.
Ringing despite the hard salt of the marsh,
breasts tarnished, belly full of brine.
A womanly bell, I sit beyond the low tide-line
with bunched fists, unwilling to be rescued.
My predicament
is centuries old.
I slipped from the boat of invading Danes
into the harbour race – too deep to dredge
so here I remain. My call is plaintive, you
answer in kind. The tedium of repetition
has rusted my tongue
and now each peal is softer than the last.
Diminished conversation might pain you.
I look forward to letting it go.
La campana di Bosham*
Tu campana di Bosham, suona per me
Perché se tu suoni, io suono con te.
Sto suonando.
Suonando nonostante il sale duro della palude,
coi seni macchiati, il ventre colmo di salamoia.
Donna campana, io siedo oltre la linea di bassa marea
coi pugni stretti, non voglio essere salvata.
Le mie sventure
sono vecchie di secoli.
Scivolai dalla nave dei danesi invasori
nella corrente del porto – troppo a fondo per ripescarmi
così resto qui. Il mio richiamo è lugubre, tu
rispondi gentile. La noia della ripetizione
mi ha arrugginito la lingua
e ogni rintocco è adesso più fioco dell’ultimo.
Un conversare menomato potrebbe dolerti.
Non vedo l’ora di lasciar perdere.
* Bosham: piccolo villaggio costiero nel Distretto di Chichester (Sussex Occidentale).
Inside the Bottle
My masts abrade the slickest skies.
They are tinder thin and crooked, as if
the prevailing wind was westerly.
Tiny gunwales are locked in place
by a hard carapace of varnish. My ribs
refract myopically through bottle glass.
I sailed here like Odysseus to Calypso.
Escape is futile when the strings of rigging
tangle to fashion a matchstick cork.
But who made me? That’s the trick:
to identify whose hand pulled taught
the connecting thread to elevate heaven.
Dentro la bottiglia
Le mie antenne abradono i più lisci dei cieli.
Sono fini come ami e storte, come se
il vento dominante soffiasse verso Ovest.
Minuscole falchette fissate
da un duro carapace di vernice. Le mie costole
rifrangono miopi attraverso il vetro della bottiglia.
Salpai qui come Odisseo verso Calipso.
La fuga è futile quando i fili del sartiame
si aggrovigliano nel sughero di un fiammifero.
Ma chi mi creò? : È questo il trucco:
identificare di chi fu la mano tesa che indicò
il filo di connessione per elevare il cielo.
Crabwise
I fear you won’t even
acknowledge me
when towards you I scuttle
crabwise: jointed limbs, knock-knees,
so gauche, so terribly unsubtle.
I am, after all, ungainly.
My ribs on the outside,
I am a candelabrum
that stabs when you grab it
to light your way to the bedroom.
If I wasn’t this thorny,
I would declare my love.
Instead, I muffle the click-clack
of knitting-needle thighs, turn
my moon-white scalloped back.
No soft goddess,
no sweep of Botticelli cloth,
no seductive undulating:
more Athena than Venus,
I’m a spinster princess in armour-plating.
Come un granchio
Temo che mai
mi riconoscerai
quando mi precipito verso di te
come un granchio: gambe strette, ginocchia unite,
così goffa, così terribilmente maldestra.
Sono, nel complesso, sgraziata.
Ho costole sporgenti,
sono un candelabro
che taglia quando lo afferri
per far luce fino alla stanza da letto.
Se non fossi così spinosa,
ti dichiarerei il mio amore.
Invece, smorzo il click-clack
dei ferri da lana delle cosce, giro
la schiena smerlata bianco luna.
Non una tenera dea,
non uno strascico botticelliano
né una seducente ondulazione:
più Atena che Venere,
sono una principessa nubile in armatura.
Gazebo
The frame of your gazebo creaks
like debilitated cartilage.
I peer in, my face pressed beside
overgrown foliage up against a pane.
Peek-a-boo.
You are absent from your Wendy-house
of whispering dead wood today.
I still see your silhouette, cardboard-
cut-out marionette, dressed in black
granny boots.
The shape of you is a permanent hole
in the world, preserved like a book mark
in your place, on your favourite page.
Of course I will come tomorrow to play
hide-and-seek
and the next day and the next day.
Here I am, poking through floorboards,
a skinny winter grass. Here I am,
counting forwards, hands over eyes,
pretending not to look.
Gazebo
La cornice del tuo gazebo scricchiola
come una cartilagine decrepita.
Sbircio dentro, il mio viso preme accanto
al fogliame cresciuto alto contro un vetro.
Bubu Settetè.
Oggi sei assente dalla tua casetta
dei giochi in legno morto sussurrante.
Vedo ancora la tua figura, marionetta
in cartone ritagliato, che indossa neri
stivali allacciati.
La tua forma è una fossa che permane
nel mondo, preservata come un segnalibro
al tuo posto, sulla tua pagina preferita.
Ovviamente domani verrò a giocare
a nascondino
e il giorno dopo e il giorno dopo ancora.
Eccomi, spunto tra le assi del pavimento,
erba invernale scarnita. Eccomi,
continuo a contare, con le mani sugli occhi,
fingendo di non vedere.
Box Hedge
There is a shadow behind the hedge,
I can’t empty my mind of it.
It moves when I move –
sometimes in the shape of a high-stepping chicken,
sometimes a fly and barbarous fox.
Part of me wants to cannibalise it,
eat whatever is secreted there
witnessing my hesitation.
I decide that I hate it, then quickly relent,
all puff gone. The timorous leaves
rattle their assent: Who is the shadow,
the puppet, the skulking bête noir?
You are.
Siepe di bosso
C’è un’ombra dietro la siepe,
non posso liberarmene la mente.
Quando mi muovo si muove –
talvolta in forma di pollo balza in alto,
talvolta è una mosca e una volpe barbara.
Una parte di me vuole cannibalizzarla,
mangiare qualsiasi cosa vi sia custodita
a testimoniare la mia esitazione.
Decido che la odio, poi subito mi placo,
si dissolve. Le foglie timorose
acconsentono tremule: Chi è l’ombra,
la marionetta, la furtiva bête noir?
Sei tu.
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