Non
so. Forse le cose raccontate sono vere, o solo sono raccontate affinchè
diventino tanto vere da diventare fantasie temibili, incubi da cui mai
lasciarsi prendere. Se delle volte mi fermo a pensare alle peggiori ipotesi,
allora esse diventano vere, tangibili, e mi sembra in un breve lasso di tempo
d'essere diventata quel pensiero, quella indesiderata cosa. Poi, altre volte,
credo davvero di non essere influenzabile e mi sento tanto forte da poter
eludere orchi e draghi e spade puntate al mio petto. E non mi credo, non mi
presto attenzione, mi derido. In fondo la mente si plasma con il pensiero, e se
potessi pensare e plasmarmi nella donna perfetta, sarebbe tutto risolto. Ma non
mi curo del presente e del vero significato del male, mi accetto per come sono,
nel senso che mi amputo gli arti e la lingua per non credere all'evidenza. Mi
distraggo a pensare che sono solo falsità della mente quelle sofferenze e
imperfezioni e allora le percuoto, le sfiguro, le seziono come facevano i
killer nei libri ottocenteschi, nell'ombra dell'orrore e della paura, intenta a
trovare una via di fuga senza essere vista, senza essere presa dai gendarmi che
mi braccano in lungo e in largo. Le lacrime siedono sempre a guardare le mie
imprese; dietro le ciglia, fra la gola e il respiro, esse palpitano e seguono
le mie vicissitudini senza mai staccare l'attenzione, senza mai inveire contro
me quando sbaglio ed eccedo nel trasformare le idee. Quando mi alzo e cerco di
camminare senza ruscirci mi sento in gabbia, catturata, presa e senza
possibilità. L'adattamento mi rende nervosa e incomincio a non saper più
eludere efficacemente le verità e le cose raccontate. E' un pò come vivere in
libertà vigilata, con paletti intorno a limitare i movimenti e le lacrime,
stoiche, a far la guardia. Se osservo qualcuno fare ciò che io stessa vorrei
fare, è come un ricordo che affiora, e mi sento come quando potevo correre:
senza mai averlo raccontato ad anima viva.
Federica Galetto
Nessun commento:
Posta un commento