art@Dee Nickerson- The letter
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Questi testi di Met Sambiase, così struggenti nella loro pacata furia, così amari nello spendore degli occhi che quotidianamente si aprono, si chiudono, si infiammano e piangono lacrime mai scese, hanno fatto centro.
Quel centro riconosciuto e compreso da chi non ha voce se non quella taciturna dell'apparenza, o dell'appartenenza forse ad un luogo ideale che spazio non trova.
Nelle dimore chiuse, recinti di cucine e padelle, letti a soqquadro preceduti dal freddo, si muove questa voce a cercare il pieno, l'esaudito, la tenerezza negata, un momento di perfetta accettazione del sè nella lacerazione del dubbio.
Se l'amore esiste allora deve riconoscere i passi scalzi di chi lo percorre stoico, consapevole di un addio annunciato nelle troppe parole. Eppure la forza dilaga qui, tutto procede, niente si ferma.
"ma i giorni sono sfiniti in questa casa" ammette il Poeta, tutto è stato fatto e si continua a fare ma niente pare salvarsi. Le cose soltanto ripongono in sè i ricordi, e scie d'affetto remote ma mai davvero finite. Lo spurgare i vecchi miracoli non rende meno rassegnati di fronte al muro di una diversità profonda, che coinvolge la totalità dell'essere pensante, abituato ad usare l'intelletto per sopravvivere e le parole per darne conto.
"luogo e tana, non mi dimori più", è sentenza disillusa di un'accettazione irreversibile, proprio là dove:
"mi obietti - spesso - che sono di troppe parole/dovrei vivere analfabeta nelle tue stanze"
Un canto di lotta all'indifferenza protratto nel tempo, esteso all'amore, alla coscienza di sè e degli altri, una voce nel dubbio dell'esistenza vera e autentica. Che non può più tacere.
Federica Galetto
Le dimore sono donne in dubbio
e mi obietti – spesso – che sono di troppe parole
dovrei vivere analfabeta nelle tue stanze,
vagante, un dizionario senza date e senza dati
ma da dove e in quale conta ci allontaniamo
bevendo acqua e odio
osserviamo piano lo spurgarci dei vecchi miracoli
dell’esser stati amati,
osanna nell’alto dei letti messi a soqquadro
divino amore
ormai da lontano, se mai mi sei stato amico o amante
ora è il canto dell’addio che sta arrivando alle spalle.
*
E fai terremoto ogni giorno
nei dubbi, che sono confini di tende e tendine
fra la cucina e i piedi che le corrono dentro
troppo a lungo e in sequenza di disamore
e poco ingombro, se pure tuo sia questo luogo
e tana, non mi dimori più
tutto s’impoverisce di silenzio
nessuno e niente torna al suo centro
mentre si lasciano le padelle su fuoco, sto uscendo scalza
ogni fiato un gradino di corsa
s’incrociano le gambe e il giro inverso della terra
una sola moltiplicazione di te per me ci separa
la riparazione del danno è immaginaria
come ogni lettera d’alfabeto zittita
o suicidata per mancanza d’affetto ricevuta.
*
Gli oggetti hanno la cura dei ricordi
i misteri gaudiosi e gli alfabeti degli affetti,
una traccia ne rimane
nei nostri occhi di carbone
di fosforo, tanto azzurri da rivoltare il fuoco
e la pioggia, in rimpianti a cantilena
mansueti sverniamo
è un’odissea senza fretta
lunghi perimetri di parole e perdoni ci richiamano
in fondo a te sto ad ondate
ed ancora parlo plurale
infiniti segnali meravigliano la mano di gesti
un cerchio tribale, l’istinto dell’abbondanza
si proietta, ma i giorni sono sfiniti in questa casa
estratti nel giardino d’inverno e seppelliti
sotto una costellazione di morte che di notte applaude.
Met Sambiase
Testi Inediti già pubblicati su "L'estroverso", il 2 febbraio 2015
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