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Traducendo Einsamkeit

STANZE DEL NORD

SCORRONO LE COSE CONTROVENTO di FEDERICA GALETTO

ODE FROM A NIGHTINGALE - ENGLISH POEMS

A LULLABYE ON MY SHOULDER di Federica Nightingale

EMILY DICKINSON

giovedì 24 giugno 2010

ALESSANDRO CENI

foto dal web











La Poesia di Alessandro Ceni è una Poesia umorale, sotterranea, precisa nel prendere dalla Natura e dal mondo circostante l’essenza svelata al suo occhio indagatore.

La realtà appare senza orpelli inutili, eppure anche nella sequenza delle visioni più complesse essa ci viene mostrata dall’interno, si illumina, arde di verità.

La verità è una costante ricerca nella scrittura di Ceni. Il cerchio della vita e le sue curve inevitabili esplorano a fondo le stagioni, la terra e suoi frutti dolci o malati, i pensieri di noi uomini che stiamo a guardare spesso attoniti.

Gli elementi rendono vive le forme mentali del Poeta, lo seguono guidandolo oltre le barriere della banale visione della realtà concedendogli potere sul verso che muove verso bersagli netti. Vediamo, attraverso la sua parola, cosa c’è sotto la scorza dura della creazione, di rombi di vento e acqua, dello sguardo muto di un bambino.

La sua è una sensibilità a 360 gradi, così pungente ed esatta che talvolta lascia sconcertato chi legge. Le sue mani sono le mani del lettore, il suo sguardo raggela per intensità e acume. Uno degli autori contemporanei da me più amati, Alessandro Ceni disegna in ogni sua lirica un universo parallelo e atipico pur mantenendo un contatto particolare con i riferimenti che ognuno di noi ben conosce.

Una voce meravigliosa che spazia ben oltre gli universi da lui creati, Ceni trattiene con perfetto equilibrio tutte le voci della Terra e del Cielo, strappando con grazia le visioni che sfuggono eppure persistono laddove si guarda.



Federica Nightingale










da Mattoni per l'altare del fuoco (Jaca Book Milano, 2002)XVII


Io guardo questi alberi un’ultima volta,
come sempre si guardano le cose, per ultime volte,
al di fuori dei campi coltivati e
su un suolo che per tutti era santo:
dove le bestie tenevano assemblee di fidanzamenti
all’apparire e al ritrarsi degli animali ibernanti,
lo sparviero mutato in colombo la volpe in donna,
e le anime dei defunti che emergevano
in cerca di uova sessuate sulla fragile costa di un fiume:
le gazze, allora, i ciuffi di piantaggine, le
cavallette tra le erbe, d’ogni regione astronomica
i voli interrotti degli uccelli di passo e le meteore
nel mucchio di sementi del letto domestico e
accanto agli altari del suolo e delle messi,
dove sempre ti sei rivolto ad antenati indistinti
e hai creduto di sentire le anime dei morti
fluttuare confusamente nell’angolo oscuro della casa.




XXVI




“Presto sarà l’inverno
e il male che ci donammo
da lungo tempo non colto
maturerà appieno nell’ospizio del gelo.
Forse la funebre uccella siberiana,
colei nel cui utero già si dibatte e ride
l’orrendo e sacro implume,
dalla vetta di una mistica cipressa
chiamando a raccolta i suoi
contro il marmo del cielo
lascerà cadere dal becco anche te
e in questa mezza luce,
in questa sospensione o suono
come di revocata incursione aerea
darà inizio alla neve”.
Quando così ti parlo e gli altri
in un denso fumo si rialzano
si guardano attorno e lasciano la sala,
sull’orlo dei tuoi occhi compare
un glutine di torpida inconsistenza spirituale;
perdi conoscenza.
Presto sarà l’inverno e
tu ancora non capisci che la caduta è eterna



*



da La natura delle cose, Editoriale Jaca Book spa, Milano, novembre 1991





Il giardino di Galileo



Radissimi astri
sul campo di zucche,
le enormi teste di cavoli
accennanti al più lieve passaggio
e il liquame verdastro di alcune creature:
più sotto rintanano bulbi,
all’esterno torti e straziati sotto il chiarore dei raggi,
sembra di camminare sui gusci
del cammino a ritroso dei mari,
così una sirena s’attorciglia,
confonde in quel viluppo di secchi di gamberi cavi
mezzo ritta sulle elitre,
un gran pesce luccicante
con festuche appiccicose sul corpo:
Urano s’appoggia a una serie indiana di pali,
goccia un liquido denso, d’opale,
beve il latte che mortifica i tessuti,
l’erba della dimenticanza ed il suo fiore:
“Quando le trame non sono ancora
ed i legami vulnerabili,
un dio ti siede accanto e
osserva il suono d’uomini che camminano nel cielo,
dal varco di luce della sua bocca
nel mio orecchio fluisce come olio”.
Tutt’oggi una cosa
ha sostato in bilico della casa
col buio è scesa nelle siepi
infinita ed eterna,
urtando vasi col muso
facendo un vento di semi, e
ha ucciso un cespuglio, guardandolo:
dormono le streghe sulla stufa
fumando la pipa, dai rami pendono
frutta bollita mandorle amare e
oltre il riparo dei pruni
si spargono uccelli sul pane di ieri,
ed è tutto un leccare e lappare
di bestia all’abbeverata,
cuoce piano un bambino nel forno:
“Discesi allora nel tempio
e aprii sulle stelle
il tetto scorrevole:
basse sull’orizzonte
nel palustrìo,
mentre varcato il recinto e frante le uova
i galli schiamavano e schiamavano
per il Ferro al centro della Terra:
parlammo in un denso fumo.”
Insonne straniero,
senza memoria e
oppresso dal ricordo
resto cieco su un gesto abituale
incoronato d’alloro.



*




da Tra il vento e l’acqua (Edizioni della Meridiana - 2005)



Tra il vento e l’acqua


Da questo punto in là iniziano i gridi,
che nessuno sa come sia possibile.
Da questo punto preciso in là iniziano i gridi
Che si emettono come sonde nello spazio
O missili predisposti a non-ritorno o inquiete macchine
Che stanno, percosse da violente scariche di energia statica.
Questi gridi che nessuno sa non provengono, non giungono,
semplicemente iniziano nel punto preciso in cui iniziano.
Certo che in là ci sono frasche urticanti, i raffi
Della robinia e il pruno acuto, le aste zannute di aranci amari
E limoni acerbi, e ogni pianta portatrice di spino e
Tutto ciò che punge, il fitto e aguzzo schermo delle rondini,
gli intrichi puntuti di minimi animali che vanno
in acuminate ronde o s’impigliano ai nembi di un rovo,
e l’aculeo è il sommo bene.
Certo è che certo che sul limine
L’uragano delle parole fonde e, unica, si accende,
mulinata dal pungiglione della puleggia di cuoio, la
pietra focaia dell’inarticolazione: di qua
tutto è felice e indigesto,
gli uomini vanno servi, le donne prostitute, i bambini
vomitano densi liquidi neri e cacano nero.
Di qua in là ci senti l’uccello che non canta, il
Pesce che non nuota, che non verrà a prenderci nessuno.
Non vi si distende la grazia di nessun Signore.



Alessandro Ceni ©






Biografia :


Alessandro Ceni, nasce a Firenze nel 1957 dove lavora sia come poeta che come artista figurativo. Tra i libri di poesia ricordiamo: I fiumi, Marcos y Marcos, Milano 1985 (seconda edizione 1991); La natura delle cose, Jaca Book, Milano 1991; Mattoni per l’altare del fuoco, Jaca Book, Milano 2002; è di prossima uscita per l’Editore Effige di Milano La ricostruzione della casa, un’antologia di poesie. Oltre al saggio La sopra-realtà di Tommaso Landolfi del 1986, si è occupato di numerose traduzioni tra le quali: E.A. Poe, Eureka, Cappelli, Bologna 1983; John Milton, Lycidas, Marcos y Marcos, Milano 1984; Oscar Wilde, Il critico come artista -L’anima dell’uomo sotto il socialismo, Feltrinelli, Milano 1995; R.L. Stevenson, Il ragazzo rapito, Bompiani, Milano 1996; R.L. Stevenson, I racconti, Einaudi, Torino 1999; Joseph Conrad, Lord Jim, Feltrinelli, Milano 2001; Herman Melville, Moby Dick, Feltrinelli,
Milano 2007 ed il più recente Billy Budd edito quest’anno sempre da Feltrinelli.

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