Traducendo Einsamkeit
STANZE DEL NORD
SCORRONO LE COSE CONTROVENTO di FEDERICA GALETTO
ODE FROM A NIGHTINGALE - ENGLISH POEMS
A LULLABYE ON MY SHOULDER di Federica Nightingale
EMILY DICKINSON
giovedì 24 febbraio 2011
V.S. GAUDIO - IL NOME DELLA QUADRUPLICE MANDRAGORA
Un poemetto di V.S. Gaudio, un viaggio surreale che spazia in territori infiniti, riferimenti vasti, a volte familiari, altre volte sconosciuti. Un viaggio onirico, un sogno, un pensiero, un filo tirato sulla Storia e sul Tempo, passato, presente, futuro. Una magia di immagini che si rincorrono creando una trama affascinante e fitta in cui perdersi può esser dolce o spaventoso.Un'affabulazione di grande respiro alla ricerca della Quadruplice Mandragora. In calce al testo le Note. Il testo è già apparso su Il Cobold, dove potrete reperire altri scritti di Gaudio.Non bisogna aver fretta, prendetevi il vostro tempo. Per voi V.S. Gaudio, nel suo stile migliore.
Nightingale
§
se la terra è una sfera,dove fuggire
perché finalmente non si debba più guatare
con orrore in una faccia d’uomo?
se fosse davvero una sfera, servendoci ad esempio
della formula H=a. tg alfa calcoleremmo l’altezza
di un monte secondo una misura sempre in difetto,
poiché la base di esso verrebbe a trovarsi sempre
più sotto
e alla sera sebbene l’acqua fosse dolce
pur ottundendo il filo dei denti
e per designare il sole qui si dica “Ugrnja”
grandi stelle baluginano fuligginose
dietro, una folata di vento
davanti, nessuna pista perché ogni
traccia è stata cancellata
tra le più desolate pietraie e i deserti
che varco instancabile con questo mantello fulvo
perché nessuno mi scorga nel mare di sabbia
fin lì io voglio che sia un disco e come tale
infinito fratello di sangue, stelo d’erba, ti amo
il tuo splendore d’acqua si effonde sopra il mio cielo
come una coppa di rugiada, una madre cui io protendo
le mani e ti accarezzo, dolce e greve, e ancora e sempre,
sempre ancora, come la donna che amo
questa coppa del cielo azzurra che spande la sua luce
dorata sul mio volto e non ho difesa e non lotto
il vento che già giunge altero e se ne va tiepido
e la giovane donna nel sole del mattino che volge la schiena
all’osservatore alla pinacoteca di Alessandria
sta la nuvola bassa e mi guarda si fa da presso il ruscello
azzurro e argento, il meriggio se ne va
il crepuscolo se ne va, la sera se ne va
piena di fuochi e canto con voce che da stagni
si fa acqua che balena azzurra
sposa del vento nella notte è la mia sposa
selvaggia, che un tempo rideva con più grazia
e come ruote che guadano torrenti in mezzo
ad acque bianche ricordo le sue natiche
mentre io seguito il mio cammino
l’ultimo segno di riferimento una piccola lastra di pietra
sopra un dorso di roccia piatto, sulla destra
dopo 50000 passi e una breve discussione sullo
scarto di errore, con una variazione di 1,12 stadi
se l’umanità riuscisse quanto prima ad annientarsi
prima che si metta a volare per appiccare più agevolmente
il fuoco dentro le città e lanciare veleno nei pozzi
durante la notte e prima che la scrittura fissi
per segni opere di poesia perenni e inutili e romanzi
di basso conio e libelli per attizzare l’odio tra
prestidigitatori truffaldini e pugilatori, tagliaborse,
ruffiani, ciarlatani e puttane
che nel migliore dei casi si tratta di poveri deficienti,
zerbinotti vanesi e tromboni privi di cervello
e ognuno è soddisfatto di sé, si atteggia a massima dignità
si inchina con cortesia, gonfia grossolanamente le
guance, gesticola, guata allocchito, schiamazza, strilla
hanno un sacco di termini questi coglioni,
esperti della vita che conoscono un numero sufficiente
di furfanterie spicciole, e caratteri in sé conclusi
che hanno finalmente disintegrato qualsiasi ideale,
maniere disinvolte, sfacciate troie e già da un pezzo
mature per la forca e il bordello
per non parlare di chi sono i grandi, politici e
oratori, principi e condottieri, che vanno strozzati
senza indugio, prima che trovino il tempo e l’occasione
di farsi il nome di Napoleone a spese di Joubert
e la notte quando il vento si fa più forte e la sabbia
diventa sempre più fina
i libri, un coltello, un pezzo di pane e l’anfora, appesa alla fune
presso che piena, l’arco e tre frecce per stare fermi nel medesimo
posto foss’anche il quattordicesimo giorno e a occidente
si levi una nuvola di polvere, leggera e dorata o una pesante
coltre di sabbia e veloci sono i loro cammelli cursori
abbiamo fatto una divertente gara di tiro con l’arco
nel pomeriggio con Masbut che conficcò nella sabbia un palo
e pose sulla cima una tazza di legno scuro
anche a 60 passi la centrarono soltanto 2 dei 4 tiratori
tra cui Geena Davis[1], inoltre io per il mio arco elastico
e in perfette condizioni a 100 passi la colpii in pieno
con la prima freccia, a 150 passi troppo lontano
forse, se non ci fosse stato il vento qualche probabilità
restava ancora solo Geena Davis urtò la tazza
con la terza freccia facendola cadere a terra
e alzò una mano nel vento, poi incoccò una freccia
scura dall’affilata punta d’argento, tese l’arco
e saettò il dardo in maniera tale che il nobile metallo
fendette come una folgore la cavità crepata
e afferrò la mia mano e disse parole gentili:
era molto lieta che arcieri di così rara valentia
percorressero il mare di sabbia, mentre i suoi compagni
avevano spostato in silenzio una tenda nera, e lei
mi domandò dentro che cosa facevamo in quel luogo
e piuttosto cosa contenesse l’Anfora d’oro, lo spirito della
quadruplice Mandragora?
e da quella volta passai ogni sera per strade e vicoli
e vidi le luci abbaglianti delle vetrine e le bettole
del vizio e della delinquenza, mille facce, diecimila facce,
centomila in questo posto in cui era sempre
autunno e le donne erano magre, i grassi bottegai
spiavano curiosi tra scaffali bisunti,
fuoco venne, morbo e guerra, e venne il dio della febbre,
con la faccia volpina,
il mazzo di frecce rosse sul petto
Weilaghiri, la città infernale
mentre la nave salpava prendendo il largo con
il vento in favore e sarebbe stata incenerita da una
pioggia di fuoco e per la prima volta avvertii la sete
si fece avanti un giovane marinaio e Jeri Ryan[2]
e prendemmo in gran fretta la via del ritorno
quando a filo dell’orizzonte ecco il sole del deserto
remoto da me, che ero balzato in piedi di scatto
in che punto incontrai Geena Davis e le raccontai delle nuvole d’ebano,
orlate d’argento, i vicoli oscuri della città, la tenda
tutta foderata di un rosso tenue, con ricchi motivi
di pampini, ricamati in oro, il principe che vede la piatta
soffice bolla di fumo sospesa sopra la città, grigia come piuma,
con venature rosse e nere
allora il nemico invase il paese,
10000 barbuti cavalieri irrompono a briglia sciolta con i
mantelli al vento, la luna si levò in volo nel velluto della notte
sospesa a metà della parete rossa di sinistra tenerezza
Geena Davis era andata verso sud-est e io stavo dentro
una pietra azzurra , tanto astrale era la notte,
vedevo ancora le sue vesti orlate dall’aurora
e il suo deretano a fare ombra sul grado 25
del cosmogramma di Ebertin attraverso lo spiazzo luminoso, vuoto
l’alba se ne va,
il meriggio se ne va,
il crepuscolo se ne va,
la sera se ne va, piena di fuochi
camminando tutta la notte
ogni cosa è nettamente brunastra e d’oro
e i neri vicoli incantati
il cammino percorso risulta maggiore
se procedo verso sud è oltremodo evidente dalle
impronte chiaramente riconoscibili
il piede di un uomo che calzava una scarpa stretta
dalla suola a belle squame e quella successiva era
l’impronta di un poderoso artiglio d’uccello
come se fosse Durka Tiskj che passa al Meridiano 117°50’ W[3]
a 10 passi dalla parete rocciosa così l’Agatodemone
tra piede e artiglio allargò le braccia: “ohò” mi fece
danzando sulla trave nella luce dorata di un
crepuscolo che se ne va,
di una sera che se ne va,
di una notte che se ne va,
e come una lucerna di rame
la luna sospesa dietro a me sulle rocce, lì, sull’orlo
del dirupo, un volto di pietra voglio scrivere in
fretta tanto che gridai “quanto dista ancora dal
Meridiano la città di Anaheim?” e il demone rispose
nel vento “Più in là, quanto basta per il mezzopunto
tra il Sole e la Luna, sino ai confini del mondo,
dove non esiste l’uomo” e si sparse maggiormente
sopra la nera balaustra sull’anatema che in un sussurro
azzannò il tempo e tutta l’umana razzaccia maledetta
come se lo strepito di ali di questo passaggio al
Meridiano una torre di sabbia facesse levare e un
cerchio vuoto cancellasse la traccia del tempo
nel meriggio che se ne va l’uccello vola a grande
altezza fino al crepuscolo che se ne va durante
la misurazione dei gradi,l’ultimo punto della Sfera
e dell’anno dove brilla la stessa Venere di Geena Davis
fino alla sera piena di fuochi dove si è ancora in vita
tuffandoci dentro la pietra cava del grembo di una madre
che delimita l’orizzonte, la sua traccia d’ombra in linea retta
con una lieve deviazione verso occidente, sul vasto altopiano
deserto col suo monotono grido nella fissità lunare
in vista della città di Weilaghiri che luminosa e unita si stende
davanti a chi la madre gli è stata rubata una volta
aperta la cancellata d’argento della porta e quando
quasi in punta di piedi per le belle strade larghe
si era inoltrata Durka Tiskj nei cortili vuoti
percorsi dal vento quasi maschera di cristallo
il suo volto è azzurro nella notte del ghiaccio
con gemiti che dalla vetta inaccessibile al margine estremo
sulla crepa successiva del tempo che correva sottile
come un capello di donna verso la sera quando è
il cuore che sbatacchia cavo e allentato e lei è
altissima sulla trave tanto da toccare il cielo,
la parete che pencola sul poeta che indietreggia attonito
tanto che si ritrova di fronte alla casa della sua
fanciullezza, sulle rive dell’Istro ora che vive tra
due errori cardinali, come se il tempo fosse una
superficie e non una linea e di giorno
la mente come un barcaiolo in un fiume
scendesse durante la notte e si aggirasse a suo talento
per tutto il campo del flusso temporale
con la sabbia del deserto durante marce sempre più
lunghe qua giù nel Sud dove abitano genti dal piede
di capra e più in alto ancora, altre, che dormono
per 6 lune e nessun uomo sa quale aspetto abbiano
questi luoghi dove sto già da un’ora seduto qua su
e tutto è in questo dettato
sull’orlo del cratere una scarpa d’argento traforata
quest’immagine che sembra originare un programma
e il programma un testo e il testo una pratica
tanto che il fantasma annuncia il ricordo che prende
all’infinito la realtà aperta dei testi
la Tavola numerica, il Viaggio sotterraneo, il Triste cavaliere,
l’Isola rocciosa, e l’antologia con lo Spirito delle acque, lo Spauracchio,
l’Anfora d’oro, l’Agatodemone e
La quadruplice mandragora
“dovrebbe essere qui”
su questa trave Durka che è inaccessibile talora
addirittura in questa vertigine in cui arrampicandoci
per lo stretto canalone la cui profondità misurava
l’ombra dello gnomone che per essere attraversato
ci vorrà un’ora anche in silenzio come è giusto che sia
nella macchina della lussuria così ben oliata che
solo a tratti zufola qualche gemito al fondo della
pagina in maniera del tutto inattesa un’amplia valle
delicata e maestosa nella calcinante calma meridiana
in cui Durka scopre la bellezza del suo nome naturale
e la rettitudine del suo soprannome
che non so se si può leggere secondo un principio di delicatezza
che come dice Barthes per Sade non è un prodotto di classe o
un attributo di civiltà[4], è una potenza di analisi e di godimento,
una mutuazione inaudita che sovverte il senso stesso del gaudir
se c’è un giallo spento che seppur di seta è pesante coltre
di sabbia nella luminosità della sera che turbina radente
il plenilunio al Meridiano di Weilaghiri
“isola sull’orizzonte, uccello di carne, ti amo
il tuo splendore di muso e caviglia si effonde sopra di me
balza in mezzo al cielo questa linea di rugiada
io protendo le mani e ti accarezzo
un passo molto vicino all’occhio tanto che
dolce e greve la carezza di questa piegatura
che è un sentiero tracciato all’ombra un po’ sopra
il tramonto dove lungo il dorso della mano ad altezza
d’occhio sull’orizzonte c’è la groppa che semplicemente
vibra e dove non ho difesa e non lotto a 16 gradi
dopo che avendo tagliato il sole e la luce si è allontanata
tra polvere e nuvole bianche, il vento che giunge altero
e se ne va tiepido e il ruscello si fa da presso,
azzurro e lucente come se ci fosse tra vento e
natiche all’interno dell’arco solare che senza rumore
balza e mi guarda
il meriggio se ne va,
il crepuscolo se ne va,
la sera è piena di fuochi e spuntano bianche stelle
non c’è scalpitìo, né richiamo o grida in platea
o sulla strada prima di afferrare gambe e braccia,
piedi e culo, muso e dorso fino alla bisettrice
dello gnomone acqua che stagni balena azzurra in
questo golfo in cui tutto si richiude
polvere e sole, lacca di garanza cremisi e bianco
anche se per essere così verticale il buco
ha il colore rosso uccello che va fino in fondo
alla luce che sta venendo mentre io seguito il mio cammino
lanciando richiami alla sposa del vento, la mia
sposa selvaggia che ha la morsa di Grhya[5] quel che va
preso al volo e che chiama, invoca, e che
qui è come se fosse il sole di Ugrnja
questo Heimlich del volo terrestre
che solleva e tira su, nell’ora del cuore freddo del mare
facendosi spaccata al Medio Cielo
all’alba se ne va, al meriggio se ne va,
al crepuscolo se ne va, nella sera piena di fuochi
in questa Stimmung della madre che ha questo vento
troppo largo che accarezza il ventre e sudore e muso
tra aria e acqua tenera di legno discende con strepito d’ali
verticalità assoluta rubata diffrazione del silenzio
e del fondo-pagina che rovescia la robustezza del nome[6]
che è come l’anfora appesa alla fune che sciaguatta presso che piena
e l’Agatodemone che viaggia sotterraneo o vola come fa Durka
e porta una scarpa d’argento traforata, dalla punta ricurva
quando attraversa la città e non è a piedi nudi
che leva il suo grido nella fissità lunare
dei solstizi 10 gradi dopo il plenilunio che a questa latitudine
fanno più di 50000 passi con una variazione di 1,12 stadi”
V.S. Gaudio
Note:
[1] Per l’abilità di Geena Davis, l’attrice protagonista di “Thelma & Louise”, nel tiro con l’arco vedi la nota 1 in: L’assassinio del Poetosofo conferenzierie al Museo di Antropologia ed Etnografia di Torino, in: Anonimo del Gaud, L’Assassinio dei Poeti come una delle Belle Arti, © 1999-2002.
[2] Jeri Ryan(22-2-1968, h 5’8”) è l’attrice, tedesca come Schmidt, che interpreta “Seven of Nine” nella serie televisiva “Star Trek-Voyager”.
[3] Cfr. V.S.Gaudio, La Gru di Anaheim,Il passaggio di Durka Tiskj al Meridiano 117°50’ W, © 2005.
[4] Cfr. Roland Barthes, Sade II, in: R.B., Sade, Fourier, Loyola, trad.it. Einaudi,Torino 1977: Il principio di delicatezza:pag. 157.
[5] Cfr. V.S.Gaudio, La Gru di Anaheim, cit.
[6] Che è questo segno “proprio quello della donna, perché essa vi fa valere il suo essere fondandolo fuori dalla legge, che la contiene sempre, per effetto delle origini, in posizione di significante ovvero di feticcio”. E “bisogna che in questo segno ci sia un noli me tangere ben singolare perché, simile alla torpedine socratica, il suo possesso paralizzi il suo uomo al punto di farlo cadere in ciò che in lui si tradisce senza equivoco come inazione” e occorre che la lettera, del nome, “sia stata dotata della proprietà della nullibiété”: se a lei basta mantenersi immobile alla sua ombra, l’uomo,rapito questo segno, nefasto e maledetto, nella verticalità del significante o del feticcio, materializza l’istanza della morte ?(Cfr. Jacques Lacan,Il seminario su La lettera rubata, trad.it. in : J.L., La cosa freudiana, Einaudi, Torino 1972: pagg.31-40).
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